Megalitismo

Verbano, terra di megaliti e antiche tradizioni

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20 Febbraio 2014

Gli allineamenti di Menhir di San Giovanni di Montorfano


Il Lago Maggiore, o Verbano, ha un suo fascino discreto e silenzioso. Lontano dalle luci dei gossip mondani, è luogo di antica villeggiatura e racchiude tesori paesaggistici e storici di incomparabile bellezza. Quando si percorrono le sue sponde o si passeggia per i paesi che vi si affacciano si percepisce un senso di pace, a volte quasi sonnolenta. Il Verbano non è come il Lago di Como, sempre al centro di storie di vip, e nemmeno come il Lago di Garda, quasi un piccolo mare invaso dai turisti tedeschi: il Verbano è un po’ austero e conserva geloso le sue gemme.

D’altra parte, un’antica leggenda del lago racconta di fate che la notte scendevano a terra per raccogliere fiori e con essi riempivano le loro barche per poi riprendere il largo con i loro carichi profumati...

Sono le terre su cui dominarono i Borromeo, di cui alcuni rappresentanti sono stati assai famosi: Federigo Borromeo, il potentissimo aristocratico di manzoniana memoria, oppure San Carlo Borromeo, la cui statua gigantesca domina l’abitato di Arona. Le Isole Borromee, che sorgono dal Lago Maggiore, sono meta di un turismo che non conosce stagioni, ricche di meraviglie architettoniche e paesaggistiche. E proprio sulle Isole Borromee si scopre che lo stemma dei Borromeo riecheggia chiaramente il simbolo celtico del Triskel e che gli impiegati del bookshop delle Isole ben conoscono il legame della loro terra con la tradizione celtica.

Quello che non tutti sanno è che le sponde del Lago Maggiore e i territori circostanti, sia sul lato piemontese sia su quello lombardo, sono ricchi di megaliti, testimoni di un passato che viene spesso misconosciuto ed occultato, se non addirittura negato, distruggendone scientemente le vestigia ancora presenti.


Coppelle nel sito della Preia Buia a Sesto Calende

Bisogna dire che qui, invece, i megaliti sono abbastanza curati e considerati: sarà forse perché sono zone che non hanno perso il contatto con le loro radici.


La sponda lombarda

Sulla sponda lombarda troviamo un imponente megalito nel Comune di Ranco, in provincia di Varese, ai confini col Comune di Ispra: è il “Sass Cavalasc”, indicato dalle guide turistiche come masso erratico. Si trova sulla riva del lago, mezzo immerso nell’acqua. Fu descritto per la prima volta da Antonio Stoppani, letterato e naturalista del secolo scorso ed è tutelato da una legge regionale.

È di forma parallelepipeda, misura 5 metri per 8, ma non è possibile calcolare il suo volume nemmeno approssimativamente, perché sta profondamente conficcato nel suolo: di certo la parte non visibile è notevole, se si pensa che resiste alla forza di gravità nonostante sia fortemente inclinato. È di serpentino, come lo sono pure molti altri della zona.

Nei dintorni, nei percorsi lungo i boschi e sui terreni delle ville che si affacciano sul lago si intravedono altre pietre erette. Nello stesso abitato di Ranco si possono incontrare numerosi giardini con menhir; se siano antichi reperti trovati e conservati con cura o moderne stele non è dato sapere al turista che passeggia nella quiete pomeridiana: sono ville di vacanza e vuote per gran parte dell’anno, ma i proprietari hanno sentito il bisogno di erigere - o di mantenere - menhir sul proprio terreno. Un vezzo un po’ snobistico o una tradizione che continua?


Resti del cromlech di Monsorino

E in più, lungo tutta la sponda lombarda si possono incontrare menhir nel bel mezzo delle rotonde all’ingresso di paesi, come ad esempio a Daverio, oppure davanti a centri commerciali o in aree verdi. Di particolare suggestione, tra Ranco e Angera, alcuni menhir emergono dalla spiaggia lungo il lago.

Incontriamo poi un altro imponente complesso megalitico a Sesto Calende. Si tratta della “Preia Buja”, nome tradotto con “pietra scura”, ma che in realtà, nel dialetto locale, significa “pietra forata”. Il complesso comprende un grande masso eretto con coppelle ed altre pietre a terra, anch’esse coppellate. Come fosse il sito in origine chi può dirlo, ma se furono tutte pietre erette, doveva essere davvero imponente. Il nome poi richiama con evidenza la leggenda di Fetonte che lasciò agli uomini del tempo una grande pietra forata, simbolo della conoscenza da lui elargita.

Infine non possiamo non parlare del “Monsorino”: un complesso di cromlech (cerchi di pietre) che si sviluppano all’interno di una folta foresta in una zona collinare nei pressi di Castelletto Ticino. Siamo nel pieno di quella che viene conosciuta come cultura di Golasecca, di tradizione celtica pre-romana.

L’archeologo Castelfranco, alla fine del XIX secolo, trovò 43 cromlech lungo la riva lombarda del Ticino e quattro su quella piemontese. Oltre che al Monsorino, sono stati scoperti cromlech in località Garzonera a Vergiate, nella brughiera del Vigano a Somma Lombardo e nel Canton Ticino, a Minusio Ceresol presso Locarno.

I cromlech del Monsorino hanno dimensioni variabili tra i 3 e i 10 metri di diametro ed hanno spesso una sorta di corridoio di accesso di forma rettangolare. Oggi l’area è purtroppo ridotta in uno stato di forte abbandono e taluni cerchi è ben difficile trovarli.


La sponda piemontese: Mergozzo

A due passi dal Lago Maggiore, cui in tempi remoti era collegato, c’è il lago di Mergozzo, dalle pulitissime acque, premiate con la Bandiera Blu.


Il grande Menhir di Daverio

Mergozzo, in provincia di Verbania, è un delizioso antico paese affacciato sul lago omonimo: possiede un olmo centenario, sotto cui per secoli si sono prese le decisioni importanti, onorando la tradizione celtica per cui l’olmo è una pianta sacra. Possiede anche un bel Museo Archeologico, dovuto soprattutto all’impegno e al lavoro di appassionati di archeologia e di storia locale come Alberto De Giuli. Porta avanti un’antica e interessante tradizione, quella del “ginostar”, ovvero dell’albero fiorito che viene portato in giro per il paese in occasione delle feste più importanti. Una tradizione che si collega con le molte altre simili in tutto il Piemonte.

Nel cortile della Chiesa Parrocchiale della Beata Vergine Assunta, nel centro del paese, troviamo una serie di “macine” appoggiate sul terreno erboso. Ruote forate che fanno bella mostra di sé sull’erba al centro del porticato dove si sviluppano gli affreschi delle Cappelle della Via Crucis.

In località Groppole, una frazione di Mergozzo, troviamo un altro importante complesso megalitico costituito da un’aula di forma leggermente ellittica, delimitata da grosse pietre a secco e coperta da un grande masso in sarizzo (uno gneiss tipico della zona) sulla cui sommità sono incise due coppelle ed una scanalatura. Si tratta del dolmen detto “Ca’ d’la Norma”, chiamato così da Giovanni Braganti, ricercatore mergozzese, che ne ipotizzò un’origine celtica e volle dargli il nome della sacerdotessa protagonista della famosa opera di Bellini.

A Montorfano, un’altra frazione di Mergozzo, nella romanica Chiesa di San Giovanni in Montorfano, troviamo un altro esempio di ruota forata: un fonte battesimale circolare a terra, indicato come battistero paleocristiano.


Ruote forate nel cortile della parrocchia di Mergozzo

Nei dintorni della Chiesa di San Giovanni troviamo numerosi menhir, alcuni di piccole dimensioni, altri, nelle radure del bosco vicino, alti fino a due metri. Davanti all’ingresso della chiesa si trova una pietra con una grande coppella circolare.


I Leponzi

L’archeologia parla della popolazione che abitò queste zone, i Leponzi (o Leponti): erano un’antica popolazione, appartenente all’etnia dei Liguri, stanziata nelle Alpi centro-occidentali. Il loro territorio era compreso tra il Canton Ticino, la Lombardia occidentale, la Val d’Ossola e l’alto Vallese. La loro esistenza è attestata dal I millennio a.C. La loro città principale era Oscela, l’odierna Domodossola, mentre un altro centro importante fu Bilitio, l’attuale Bellinzona.

I Leponzi sono classificati da Strabone come una delle tribù dei Reti e vengono ricordati nel Trofeo delle Alpi (“Trophaeum Alpium”), il monumento romano eretto nel 7 a.C. vicino alla città francese di La Turbie per celebrare la sottomissione delle popolazioni alpine. I popoli delle Alpi, infatti, erano stati sottomessi nelle campagne di conquista di Augusto, condotte dai suoi generali Druso Maggiore e Tiberio tra il 16 e il 15 a.C.

Nel museo di Mergozzo troviamo esempi della scrittura dei Leponzi, una scrittura che ha molto a che vedere con l’alfabeto runico: anche questo ci lascia la suggestiva sensazione di una terra antica, legata alle origini celtiche della nostra Europa.