Leggende e Tradizioni

La Madonna Nera e il Masso d’Oro

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06 Giugno 2013

La Madonna Nera di Forno Alpi Graie


Una Madonna Nera a guardia di un piccolo villaggio, con una storia che ha dell’incredibile. Un enorme masso anch’esso a protezione del borgo. Leggende, tradizioni, dolmen e menhir.

Forno Alpi Graie è l’ultima frazione di Groscavallo nella Val Grande di Lanzo. La strada finisce lì, a Forno, e come tutti i paesi o le frazioni che segnano la fine di un percorso stradale, c’è una sensazione definitiva, come se si fosse arrivati a un traguardo o alla fine di un cammino di ricerca interiore.

In molte zone di area celtica vi sono paesi posti alla fine di percorsi a volte anche molto tortuosi, che sembrano una barriera dietro la quale c’è il nulla, e che hanno nomi evocativi come Land’s End in Cornovaglia, Finisterre in Galizia, Finistère in Bretagna. La fine della Terra.

La sensazione di essere approdati a un posto particolare la si coglie anche in questo villaggio della Val Grande oltre il quale non c’è più nessuna strada, ma solo sentieri da percorrere a piedi e perlustrare cercando qualche segno dell’antica cultura celtica che abitava queste valli.

Abbiamo già avuto occasione di accorgerci che la presenza di una Madonna Nera è una sorta di antenna che indica un posto segnato da antiche tradizioni. Ne abbiamo esempi in tutto il mondo.

La Madonna Nera presso Villefranche-sur-Mer, con i suoi 11 metri di altezza, è stata una grossa antenna che ci ha fatto scoprire una storia antica iniziata dai Celti e proseguita con i Templari e i Rosacroce. La cattedrale di Chartres, che ospita addirittura due Vergini Nere, è stata costruita su un antico tempio pagano dedicato alla Grande Madre. Misteriose Vergini Nere segnano tutto il pianeta, ognuna di esse con alle spalle storie di antiche leggende e tradizioni.

La storia della Madonna Nera di Forno Alpi Graie non è meno misteriosa.

Tutto ebbe inizio il 4 agosto 1629, quando Pietro Garino, devoto della Madonna del Rocciamelone, si recò in pellegrinaggio per raggiungere la vetta del monte su cui ancora oggi sorge una cappella dedicata alla Madonna. Sulla facciata della cappella si trovavano due quadri in pessimo stato, uno di questi raffigurava la Madonna Nera con il Bambino. Garino decise così di portarli con sé per farli restaurare e restituirli l'anno seguente. Era un periodo tormentato dalla guerra e dalla pestilenza.


Il sentiero di pietra che conduce alla sommità del masso posto sopra l’abitato

Garino, originario di Forno Alpi Graie, si rifugiò nel suo paese di nascita portando con sé i quadri. Secondo la leggenda, nelle notti del 27, 28 e 29 settembre del 1630 egli sentì una voce femminile chiamarlo più volte, tuttavia non vide nessuno. Ma il 30 settembre la Madonna gli apparve in un posto dove era solito recarsi a passeggiare e lì Garino vide con stupore i due quadri appesi a un albero. Garino prese i quadri e tornò a casa. Le apparizioni non si ripeterono, ma quando egli volle tornare sul posto dell'apparizione, non ritrovò i quadri a casa sua, ma di nuovo li vide nel luogo dove gli era apparsa la Madonna, questa volta posati su un masso. I quadri furono sistemati in un reliquiario e in quello stesso anno, 1630, Garino fece edificare una cappella sul luogo delle apparizioni. L'edificio venne completato nel 1869 da Luigi Baretto.

Il santuario si trova in un suggestivo luogo all'imbocco del selvaggio vallone di Sea, e per raggiungerlo occorre salire i trecentosessantasei gradini (ma il numero è discordante: c’è chi ne ha contati più di 400) della scalinata che i pellegrini salivano in ginocchio. Nel tronetto dell'altare maggiore campeggia la statua della Madonna Nera con il Bambino. È alta circa 90 cm, in legno d'ebano. Nel percorso verso il santuario si trova un’altra Vergine Nera posta in una nicchia, sovrastata da una croce dalle fattezze piuttosto insolite.

Questo racconto tuttavia può essere letto in un’altra chiave. Il collegamento tra la Madonna del Rocciamelone e la Vergine Nera di Forno Alpi Graie non può non far pensare alle tradizioni autoctone delle Valli di Susa e di Lanzo e ai collegamenti tra le due valli. Ancora oggi esistono testimonianze di un’antica civiltà che in tempi remoti avrebbe abitato questi territori e avrebbe edificato una città ciclopica che si estendeva tra la Valle di Susa e le terre d’oltralpe. Gli anziani della Valle di Susa e delle Valli di Lanzo conservano il ricordo dei grandi tunnel che collegavano le valli, e della tradizione che le accomunava. È il mito celtico della città di Rama, una leggenda conosciuta ancora a fine ‘800, che oggi trova riscontro nelle scoperte di reperti che ne confermano la storicità. Il monte Rocciamelone, il cui antico nome celtico è Roc Maol, è uno dei luoghi sacri di questa antica civiltà, e il fatto che la storia leggendaria di Pietro Garino colleghi questo monte con Forno Alpi Graie, anch’esso un luogo altamente significativo per la storia autoctona locale, non può essere un caso.

In definitiva la Vergine Nera, anche se assimilata dai culti cristiani, sembra essere la testimonianza di culti pagani associabili a Madre Terra. Il colore nero indica la terra fertile, l’Opera al Nero dell’Alchimia, la Nigredo. L’elemento del “bambino”, quasi sempre presente, indica la continuità della tradizione. In definitiva, un simbolo di morte e rinascita.


Il grande dolmen del “Giass del Colombin” sopra Forno Alpi Graie

Ma le sorprese di Forno non finiscono qui. Il piccolo paese è sovrastato da un enorme masso, una formazione naturale che però sembra non avere niente in comune con il paesaggio intorno. Un elemento così imponente e alieno non poteva non essere ammantato di leggende. La leggenda più nota legata al masso di Forno in realtà rimbalza in molti paesi della Val Grande, con particolari diversi ma con un medesimo significato.

Si racconta che in un tempo molto lontano in questo villaggio vivesse una comunità di gente dissoluta e immorale. Per i loro peccati, questi uomini erano stati abbandonati in balìa del diavolo, affinché li portasse alla morte e alla perdizione. Il diavolo decise di distruggere e seppellire la comunità sotto un grande masso d'oro massiccio. Lo caricò sulle spalle e si alzò in volo in direzione del paese. Protetto dal bosco viveva un Santo Eremita che conduceva un'esistenza di penitenza e preghiere. Vide il diavolo volare con l'enorme masso sulle spalle e si mise a pregare intensamente per salvare la comunità. Pregò incessantemente, invocando aiuto. Lentamente il diavolo, che aveva riconosciuto l'eremita, si sentì sempre più stanco e debole. Mentre si avvicinava al villaggio le forze iniziarono a mancare finché, non riuscendo più a sostenere il masso, dovette abbandonarlo. Il masso si posò delicatamente e diventò così il protettore del paese.

Questa leggenda, da cui chiaramente traspare una chiave di morale cattolica, è raccontata anche come “la leggenda della Pera Cagna”, un altro masso della Val Grande da sempre ammantato di leggende legate alle Masche per via della sua struttura particolare e per il fatto che presenta incavi, striature, solchi di natura enigmatica, attribuiti nell’immaginario popolare alle streghe. Secondo l’antica leggenda, sotto la "pera cagna" si troverebbero oro e argento. In effetti dal secolo XIV si iniziarono a sfruttate le miniere d'argento situate nelle vicinanze e furono trovati dei filoni d'oro.

La leggenda del masso d’oro che viene fatto scendere lentamente a riparare il paese sembra un eco del mito di Fetonte dei Nativi europei, secondo il quale in epoche ancestrali un dio sarebbe sceso nei territori della Valle di Susa per donare la conoscenza agli uomini. Mito ricordato anche nelle Valli di Lanzo e trasmesso oralmente dalle Famiglie Celtiche, le comunità autoctone ancora esistenti in zona.


La Madonna Nera con Bambino nel santuario a lei dedicato

Il masso che “protegge” Forno Alpi Graie ha tutti gli elementi per suscitare curiosità e un senso di mistero. Perlustrando i passaggi di pietra che portano al masso ci vengono in mente altri paesaggi, altri massi, dall’altra parte del mondo. Come Hanging Rock in Australia, il luogo sacro degli aborigeni Wurundjeri del Victoria. L’atmosfera è simile, ed è simile anche il nome: infatti il masso di Forno è chiamato dagli anziani del posto “le roc pendù”, la roccia appesa, come Hanging Rock. Che curiosa coincidenza!

Sempre nella Val Grande, le leggende parlano di una strana processione dei morti che si snoda di monte in monte. Un essere vivente fa loro da guida, ma nessuno sa chi si tratti. Durante la processione si china sui ruscelli e sui crepacci dei ghiacciai per far passare i defunti sul suo corpo.

Leggende antiche, che hanno il sapore di magia e di irrealtà.

Sono invece molto reali i tanti megaliti che si trovano sul cammino, proseguendo per il sentiero che oltrepassa il grande masso. Come il grande dolmen del “Giass del Colombin” di dimensioni straordinarie, alto 5 metri con la camera alta circa 2. Stesso stile, e probabilmente medesima epoca, del dolmen di Cantoira, sempre in Val Grande, anch’esso imponente e molto ben conservato.

Questo miscuglio di antiche leggende, tradizioni autoctone e ritrovamenti megalitici ci lasciano “in sospensione”, come se ci aspettassimo che qualcuno ci venisse a raccontare la vera storia di questi territori, il fil rouge che lega tutti questi fattori misteriosi e affascinanti.

E invece dobbiamo cavarcela da soli, perché la vera storia delle nostre origini non ci viene raccontata, anzi, ci viene negata. Forse perché troppo scomoda, forse perché ci allontanerebbe troppo dai valori materiali imposti dalla società maggioritaria.

 

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