Leggende e Tradizioni |
“Fora l’Ours!” |
07 Febbraio 2013 | ||||||||||||
Tradizioni pagane della Valle di Susa
Mompantero, 3 febbraio 2013. Anche quest’anno a Urbiano, frazione di Mompantero nell’Alta Valle di Susa, si è tenuta la festa tradizionale chiamata “Fora l’Ours!”, che vuol dire “Fuori l’Orso!”. Una celebrazione che si svolge nell’arco di tre giorni, coinvolgendo tutto il paese, in concomitanza con la festa celtica di Imbolc, detta Candelora. I tre giorni della celebrazione vedono coinvolti pressoché tutti gli abitanti di Urbiano, la frazione più popolata di Mompantero, ma il richiamo è noto anche agli abitanti della Valle, i quali accorrono soprattutto la domenica per assistere all’apparizione dell’orso. Il momento culminante della celebrazione, una vera e propria rappresentazione, è appunto la comparsa dell’orso, il vero protagonista della festa, ovviamente non un vero orso ma un uomo travestito, il quale viene catturato e trascinato per le vie del paese in catene, tra scherni, percosse e il vino che gli viene fatto bere a forza a mezzo di un grande imbuto. La rappresentazione, sempre uguale a se stessa, prevede che a trascinare l’orso in catene e a sottoporlo ad ogni genere di angheria siano i notabili del paese: l’autorità, il clero, i gendarmi, tutti quanti facenti parte del clan dei cacciatori. La scena, anche se apparentemente è goliardica, in realtà è piuttosto inquietante e può risultare incomprensibile se non si cerca di scavare nel vero significato della ricorrenza. Ma andiamo con ordine. La festa si svolge ogni anno nel weekend più vicino al 2 febbraio, ricorrenza di Imbolc. Già il venerdì ci sono manifestazioni e mostre inerenti alla festa; il sabato sera la celebrazione prosegue con l’ormai rituale mingia e beiva, “mangia e bevi”, che consiste in un percorso enogastronomico per le vie della frazione, al termine del quale i cacciatori, ben rifocillati, partono per la caccia all'orso. Già da tempo il mingia e beiva ha sostituito la tradizionale processione guidata dai cacciatori, in cui gli uomini del paese sfilavano in un minaccioso corteo per prepararsi alla caccia all’orso.
La domenica pomeriggio ormai la festa è al suo apice, l’aspettativa della gente del paese è all’acme, la banda musicale di Mompantero anima le danze e ovunque si sentono le grida “Orso! Orso!” di chi chiede a gran voce che si manifesti il vero protagonista della festa. Dopo essersi fatto attendere un bel po’ per creare il giusto pathos, finalmente l’orso compare tra l’eccitazione e gli applausi generali. Si susseguono vari inseguimenti, in cui l’orso si nasconde e riappare, muovendosi in maniera talmente sconnessa che la gente al suo apparire scappa piuttosto impaurita. Ma la superiorità numerica dei cacciatori è tale che l’orso viene inevitabilmente catturato e ridotto in catene. L’orso viene quindi trascinato per il paese, e durante il viaggio viene deriso, percosso, fatto oggetto di scherzi e di tutte le angherie possibili, gli viene fatto bere del vino a forza. Fino a quando, ormai domato, viene lasciato libero e gli viene offerta in dono la ragazza più bella del paese con cui balla fino alla conclusione della celebrazione. La vera identità della persona che veste le pelli dell'orso è segretissima, conosciuta solo dai cacciatori i quali scelgono la persona tra i compaesani e la aiutano a vestirsi. Scelgono anche uno o più sostituti, perchè non è insolito che al protagonista capiti qualche incidente di percorso, come è successo quest’anno: la persona che impersonava l’orso è caduta durante la rappresentazione, forse per via dell'abbondante libagione forzata, ma forse anche per via della belluinità con cui l'orso viene condotto per il paese. Il risultato è stato che il protagonista si è ferito ed è stato necessario sostituirlo. Durante tutta la festa, i discorsi ruotano attorno alle ipotesi sull’identità dell’orso, e si fanno addirittura scommesse. Che cosa si conosce di questa celebrazione? Se chiedete agli abitanti di Mompantero, riceverete risposte evasive su una non meglio identificata tradizione antichissima, risalente ai romani e ancora prima ai Celti. Qualcuno vi dirà che l’orso simboleggia l’inverno che lascia il posto alla primavera (rappresentata dalla fanciulla). Ma ovviamente queste risposte non spiegano una celebrazione tanto sentita e partecipata. Ad aumentare la confusione, la festa è dedicata a santa Brigida, tuttavia il giorno di santa Brigida cade in luglio. E’ stata associata alla divinità celtica di Brigit, ma anche interpretata come un ricordo dei Saturnali romani e come una reminiscenza del culto di Mithra, che celebrava il Sol Invictus.
Approfondendo l’argomento si scopre che questa tradizione viene tramandata di padre in figlio ed è custodita gelosamente da consorterie che ne curano la trasmissione. Per quanto riguarda il significato, non è difficile vedere in questa rappresentazione la persecuzione dei culti pagani ad opera della religione che è subentrata. E' naturale associare l'orso allo sciamano, o meglio, alla religione dello sciamanesimo, custode degli antichi culti, così come è associabile all’Uomo Selvatico, anch’egli protagonista di molti “carnevali” delle tradizioni di tutta Europa, con lo stesso significato. La persecuzione dell’orso e il tentativo di domarlo fino alla sua resa riportano ad un periodo buio delle terre europee, quando vi furono in tutti i Paesi della cultura celtica cruente repressioni che annientarono e apparentemente cancellarono ogni traccia dell’antica religione. Ma solo apparentemente, visto che le Famiglie celtiche esistono oggigiorno in tutta l’Europa, e del resto, le celebrazioni come la “Fora l’Ours”, così sentite ed estese dappertutto, fanno chiaramente intuire che l’antica tradizione celtica non è mai morta. L’orso viene infine domato. Ma è domato davvero? Lo sciamanesimo è davvero scomparso? L’orso della “Fora l’Ours” nella rappresentazione sembra domato solo apparentemente, e fa pensare che abbia solo finto di essere assimilato. Questa strana celebrazione, più che una caccia all’orso visto come il male da combattere, sembra piuttosto un modo per ricordare qualcosa di importante della nostra storia, “per non dimenticare”. Va notato che Mompantero ha una rilevanza molto particolare nella tradizione celtica. E’ una piccola località posta alle pendici del Rocciamelone, nome celtico Roc Maol, una montagna sacra nelle tradizioni locali. La ricercatrice dell’ottocento Matilde Dell’Oro Hermil, nel suo libro “Storia di Mompantero e del Roc Maol”, pubblicato a Torino nel 1897, descrive gli abitanti di Mompantero come dei maghi che custodiscono dei segreti, e uno di questi sarebbe riferito alla leggendaria città megalitica di Rama, che secondo la scrittrice sorgeva nella Valle di Susa in epoche preistoriche. Nella frazione di Urbiano, dove si svolge la festa, c’è uno strano elemento che domina tutto il paese: una grande ruota solare incisa in verticale su un’alta roccia. La ruota solare è un elemento ricorrente nelle leggende celtiche legate alla città di Rama e al dio Fetonte, che secondo il mito avrebbe regalato ai suoi allievi una grande ruota d’oro forata contenente tutto il suo sapere. L’importanza del simbolo della ruota forata è dimostrata dai numerosissimi ritrovamenti di ruote solari preistoriche che segnano i luoghi megalitici delle nostre valli.
La Fora l’Ours quindi sembra rivestire un significato ben più profondo di quello che appare, e che va al di là del semplice folklore. La vastità di ricorrenze folkloristiche con il medesimo simbolismo, che proprio in questo periodo pervadono non solo le nostre valli ma tutta l’Europa, sembra confermarlo. Nella Valle di Susa la Fora d’Ours è celebrata anche in altri paesi di cultura francoprovenzale, come Condove e Mattie. A Mezzenile, nelle Valli di Lanzo, in questi giorni ci si può imbattere in uno strano carnevale: il Branlou. Anche qui personaggi misteriosi sfilano per il paese, e di nuovo ritroviamo l’Uomo Selvatico e gli stessi personaggi della festa di Mompantero. A Jelsi, nel Molise, si può assistere al Ballo dell’Orso, celebrazione pressoché identica alla Fora l’Ours, tanto che tra Mompantero e Jelsi è stato fatto un gemellaggio con uno scambio di reciproci riti. Spostandoci nella Valle Varaita, in terre occitane, a Bellino (Cuneo) troviamo la Beò de Blins, una celebrazione con significati identici e anche in questo caso, con la figura dello sciamano che viene perseguitato. In Val d’Aosta si celebra la Coumba Freida, con gli stessi personaggi e stessi significati. Nei Pirenei si ripete ogni anno in questo periodo una tradizione analoga. E’ curioso che tradizioni precristiane, così lontane dal nostro quotidiano, vengano tramandate con pervicacia nonostante l’insabbiamento di cui sono state oggetto. Interi paesi lavorano tutto l’anno per preparare feste apparentemente senza senso, seguendo tradizioni che non vengono spiegate né tantomento insegnate ufficialmente, eppure ben vive e vitali. Il Carnevale sembra il segnale per poter finalmente mostrare, sotto la parvenza della goliardìa e della trasgressione concessa da questa ricorrenza, una tradizione che in sordina ci accompagna e ci ricorda la nostra vera storia. Per non dimenticare.
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