Leggende e Tradizioni

Lettere dal Cielo e preghiere scongiuro

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07 Giugno 2011

Formule magiche in un disegno di un testo d’epoca

Superstizioni e formule magiche del cristianesimo


Uno dei più antichi documenti apocrifi del Medioevo cristiano (VI secolo) è la “Lettera della Domenica”, attribuita a Gesù medesimo e caduta dal cielo o portata in terra dall’arcangelo Michele. Bollata come falsa dal Concilio Romano del 745 e condannata da Carlo Magno, continuò a circolare nascostamente. Questa ed altre venerate “lettere dal cielo” diventarono poi degli amuleti da portare indosso contro pericoli e malattie, assumendo quindi un ruolo magico. In epoca carolingia ne esisteva un vero e proprio commercio che, malgrado l’opposizione della Chiesa e delle autorità (propense, però, a farne uso a loro volta in privato) continuò nei secoli successivi. Si indossavano amuleti con frasi propiziatorie, tratte di solito dai libri sacri, come i cosiddetti “brevi”, oppure testi più articolati, definiti dagli studiosi orazioni salvifiche o preghiere scongiuro, di contenuto magico più o meno evidente,   utilizzate pure a protezione della casa.  Mirella Ferrari (“Buona fortuna e scongiuri”, in “Margarita amicorum”) cita il ritrovamento, nell’architrave di un’antica abitazione del Comasco, di una “carthula del XIII secolo, con tutta una serie di invocazioni a Dio, alla Vergine, ai Santi, ai Magi, perfino ai due ladroni, a cui la tradizione assegnava il ruolo di difensori domestici dai furti! Era frequente che nella stessa preghiera si accumulassero svariate “potenze” per garantire un effetto più sicuro.

Del commercio di preghiere  nel ‘500 forniscono testimonianze vari studiosi. Maria Pia Fantini (“Tra poesia e magia”) spiega come ciarlatani e mendicanti commissionassero orazioni con parole e frasi  precise, tali da colpire l’attenzione del pubblico ed essere vendute agevolmente come amuleti; altrettanto riferisce Roberta Astori in “Formule magiche”. Una specifica ricerca di Giorgio Caravale, “L’orazione proibita”, cita un gran numero di scritti utilizzati a questo scopo.  A fruirne erano sovente i militari: i Valdesi, ostili a tale usanza, ne trovarono parecchi indosso ai cadaveri dei soldati nemici e li esibirono per dimostrarne l’illusorietà  (V. Minutoli, “Storia del ritorno dei Valdesi nella loro patria”).  La teologia ufficiale osteggiava il fenomeno, ma nella pratica quotidiana si finì per lasciar correre, se non altro i testi meno contrari alle regole ufficiali.


Melancolia I, incisione di Albrecht Dürer del 1514 densa di riferimenti esoterici tra cui il quadrato magico

Tuttavia, anche nel ‘500 e nel ‘600, secoli di lotta accanita contro le superstizioni, l’atteggiamento di Chiesa ed autorità verso “incantesimi e stregherie”, detti anche “inchiarmi”, fu ambivalente: da un lato si voleva convincere la gente che erano vani ed illusori; d’altro lato, però, si dava la caccia a chi li usava o li diffondeva (esercitando una rigida censura sulle stamperie), non solo perché la magia  era considerata eresia, ma, come afferma un editto del 1673 di Carlo Emanuele II di Savoia, per “sicurezza de’ nostri sudditi”, avallando così l’opinione che gli “inchiarmi” fossero efficaci e temibili. L’editto prevedeva la pena di morte per i casi più gravi e la perquisizione degli arrestati, per cercare tali amuleti. Secondo uno studioso francese del 1800, il Le Blant, si credeva che fossero usati per sopportare senza sofferenze la tortura; alcuni si facevano rasare e tatuare il cuoio capelluto con formule magiche le quali, ricresciuti i capelli, non erano più visibili. Una preoccupazione in più per chi doveva perquisire i criminali o addirittura i duellanti. Il Lecouteux (“Charmes, conjurations, benedictions”) segnala che già nel 1355 un duello giudiziario fu rinviato perché addosso ad uno dei contendenti era stata trovata una preghiera scongiuro.

Nel secolo XIX la ripresa delle guerre in Europa, con tanto di coscrizione obbligatoria, generò altre situazioni di pericolo, rese più tragiche da nuove epidemie: il colera e, con il primo conflitto mondiale, la spagnola. L’angoscia rinnovò il bisogno di rassicurazione con preghiere ed amuleti, spesso riutilizzando quelli più antichi. Elisabetta Gulli Grigioni (“L’esorcizzazione della paura”) ha evidenziato appunto come le orazioni salvifiche abbiano subito nel tempo un “adattamento popolare”, cioè siano servite, con parziali modifiche, a fronteggiare rinnovate esigenze: ad esempio, cessato ormai l’incubo della peste, furono usate per il colera, e il “logo” della campagna anti-tbc  nel ‘900, la croce a due bracci, non era altro che un simbolo anti-peste. Certe formule per vincere alle lotterie furono poi utilizzate dai coscritti per estrarre il numero che li avrebbe esentati dal servizio.


La scoperta di un’antica orazione salvifica: l’epistola di Leone III a Carlo Magno

Tra vecchie carte di famiglia, a Forno Alpi Graie (Val Grande di Lanzo), ho trovato, su un foglio sgualcito e ripiegato, scritto fittamente, una preghiera scongiuro risalente ai primi del ‘900. Si tratta della celebre Epistola di papa Leone III a Carlo Magno, un apocrifo dalla lunga storia. Incuriosito, ho svolto le prime ricerche, aiutato da un’appassionata di storia locale, Maria Teresa Serra, giungendo ad una scoperta per me impensabile: il testo era diffuso su un territorio vastissimo,  dal Piemonte alla Valle d’Aosta, fino alla Lombardia, al Friuli ed all’Emilia. La preghiera è citata, insieme ad altre, da libri ed articoli di etnologia, magia, storia religiosa, poiché rientra nelle passate tradizioni magico-sacrali europee. Circolava sia in copie manoscritte, tramandate fra il popolo, sia su foglietti a stampa, spesso piegati in forma di libretto, da leggere o tenere indosso, che sovente erano venduti dai girovaghi in fiere e mercati.  In tale forma l’orazione, assai utilizzata dai soldati durante i due conflitti mondiali (ma ho letto una testimonianza relativa alla guerra di Libia), ha continuato ad essere diffusa fino a tempi piuttosto recenti, se la tipografia Chiais di Vercelli la stampava ancora una ventina d’anni fa.


Ad Ascoli Piceno è venerato Sant'Emidio che con le sue preghiere, nel '700, scongiurò la distruzione della citta da un violento sisma

Le numerose copie, di varia provenienza, che ho esaminato sono identiche fra loro in quanto a struttura e parole, salvo varianti marginali, in genere legate all’ortografia. Il testo si compone di due parti: la “cornice” in lingua italiana, che è la più antica, e l’insieme di parole e formule latine aggiunte qua e là, spesso trascritte in modo errato o incompleto. Anche gli esemplari a stampa (dove però la parte in italiano è debitamente corretta) presentano le stesse manchevolezze: segno che non era lo scritto a contare, ma solo il fatto di possederlo o recarlo indosso come amuleto, tanto è vero che l’orazione, pur con le sue lacune, ebbe una diffusione enorme. Il testo qui riportato deriva dal confronto ed interpretazione delle varie versioni esaminate, con l’obiettivo di offrire ai lettori una lettura più comprensibile e completa possibile, ovviamente senza la pretesa di elaborare un’edizione critica.


Il testo dell’Epistola di papa Leone III a Carlo Magno

Nel riportare il testo della preghiera ho aggiunto tra parentesi, in alcuni casi, le varianti significative ad una certa parola o frase.  Il segno +, che compare di frequente, secondo un’usanza assai diffusa in tali orazioni, indica che si dovevano intervallare le parole con un segno di croce.

Si legge che la santità di papa Leone IV mandò questa SS. Epistola al Re Carlo Imperatore, nel tempo che si trovava alla battaglia per la S. Sede (Santa Fede), ed ordinò a favore d’ognuno  che facesse la copia e la portasse indosso, che ogni persona sarà salva, e chi la leggerà e la porterà indosso, non gli potrà accadere male alcuno né di giorno né di notte.

Inoltre andranno sempre bene i suoi affari. Se qualche donna stesse in disgrazia del suo marito, avendo questa SS. Epistola indosso, bisogna che il suo marito la torni ad amare. Se vi fosse qualche donna che non partorisse, mettendosi la presente indosso, partorirà subito e senza dolore. Se qualcheduno si trovasse nell’estremo di sua vita, confidandosi alla misericordia di Dio, avrà la grazia che l’anima sua non potrà essere dannata all’Inferno. Quello che la porterà indosso non potrà in nessun caso essere offeso. Se questa Santa Epistola alcuna persona l’avesse in mano, ne faccia la copia e la conservi, che poche copie se ne trovano ancora. Se alcuno avesse perduto l’amicizia di qualche signore, oppure di qualche suo favorito amico, andandogli a parlare tornerà alla prima amicizia.

Se qualcheduno combattesse con li nemici suoi, sarà sempre vincitore e vittorioso, e dove sono questi santi nomi di Dio:

Agnus + Nativitas + Vitulus + Christus + Benevolentias + Amabilis + Sanctus +

Se qualcheduno venisse il sangue dal naso che non gli stagnasse, mettendosi la medesima indosso subito gli stagnerà, e portando la presente in seno non verrà offeso da qualsiasi sorta d’armi, e se vi fosse qualcheduno incredulo, lo potrà provare con metterla sopra un’anima e tirargli che non potrà essere offesa.

+ Compatitione (Computatione, Competitione) spiritus malignos quattuor fulminacibus (fulminaribus) catolicis + et computatione sanctum Jacobum et omnes sancti et sanctae Dei nullo modo possit nocere mihi + Sancti Andreae Dei famulum tuum libera me Domine ab omnibus infirmitatibus, periculis temporalibus et omni odio et omni lingua et vigilando et comandando in omni tempore.

                Jesus   F. F.  F.  F.


Carlo Magno incoronato imperatore da Papa Leone III

+ Libera Jesus Maria, amen, angelus nativitas, qui fecit caelum et terram fecit salvum famulum tuum a Joseph sanctus Andrea. Amen.


Queste sono le parole ovvero la lettera che mandò Papa Leone al re Carlo e si trovò scritta (stampata) nell’archivio antico del suo palazzo, nell’anno di sua salute 1169.


Erue sit + amen. Deus erue inquam omni tempore te adoro + Erue Christus  afferat ad me Domine quidam  [quidem]  me opprimat inimicus Christus nobiscum sit amen, Jesus, Maria, Joseph, Franciscus, Antonius, Jacobus, Andrea, libera me Joseph

               I.N.R.I           [ + ]


(NdR In alcuni esemplari, a mano o a stampa, la croce accanto a INRI è di dimensioni maggiori rispetto alle altre e di disegno più ricercato. Solo in due delle versioni manoscritte esaminate, una in possesso dei signori Lino e Maria Piera Solero di Mondrone e l’altra appartenuta ad un anziano di Cuorgnè morto nel 1916 ed inviatami dal Dr. Giovanni Bertotti,  compare anche la scritta: “La misura della croce di nostro Signor Gesù Cristo era lunga più di questa 49 volte. Il detto legno ha tanta proprietà che chi la porterà indosso con  la sottoscritta orazione sarà libero da ogni pericolo ecc.”)

Fra i tanti benefici che gode colui che porterà indosso quest’orazione  vi sono ancora i seguenti:

Sarà libero da ogni pericolo, e non morirà senza confessione, né di folgore, né di tempesta, né di saette, né d’acqua né di fuoco, né di veleno, né di mal fisico, né di mala morte, né di morte subitanea, e sarà libero dalle calunnie dei falsi testimoni e dai cattivi nemici.

Questa orazione fu mandata dall’Angelo disceso dal cielo nel palazzo di Carlo Magno acciò nessuno potesse nuocerlo:


Christus Rex visitare nos Deus + homo + factus est miraculo Jacobus Andrea transeat per montium (monticum) Elisabet sine sanguine sine non abitet + et requiescat omni regione + sanctus Deus + sanctus misericors et immortalis misericordiae mei + Crux Christi defendat me. Crux + Christi me ab omni malo, libera me.

Domine Christus   +  Deus Emanuel  Jesus Redemptor  Christus  +  et Verbum caro factum est et habitavit in me: Raphael mirram  +  Melchior incensum  +  Baldhassar aurum  +  Christus vincit, Christus ut omni periculo imminenti me defendat, Jesus et Maria.

Signor mio Gesù Cristo, Salvator di tutto il mondo salvate l’anima mia



Papa Leone III

Si legge che il Re Carlo una mattina doveva far decollare uno che era reo di morte, ed il carnefice non gli poteva mai tagliar la testa, e non potè farlo morire; fu  cercato indosso, e gli trovarono la medesima Epistola.

Gran Madre di Dio, Vergine fra tutte le vergini di tutto l’universo, benedetta e santificata fra tutte le altre donne, pregate il vero SS. Figlio per tutti i peccatori, voi Signora che siete la vera Vergine, vogliatemi bene e aiutatemi in tutte le necessità.

Quest’orazione fu trovata nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, ed ha questa proprietà, che chi la porterà indosso, però con devozione e con buona intenzione, non sarà sentenziato a morte, non patirà il male d’occhi, né di cuore, e sarà visitato tre giorni avanti la sua morte dalla Gran Madre di Dio Maria SS.; ed in quella casa dove vi sarà questa Orazione, non si sentirà veruno, non vi sarà incendio e non si vedranno genii cattivi, e sarà libera da qualsiasi sorta di pericolo.


LAUS   DEO


Sul retro del documento manoscritto dei signori Solero di Mondrone si legge: “Scritto di fretta il 19 ottobre 1916”. Oltre a fornirci una data precisa, la breve nota fa pensare che la preghiera fosse destinata urgentemente a qualcuno al fronte. Due membri della famiglia Solero, tornati incolumi dalla Grande Guerra, fecero poi costruire per voto un “ciaplot” (cappelletta) nella zona sopra il loro paese.


Religiosità o magia?

L’Epistola apocrifa di papa Leone III appartiene alla tradizione magica o religiosa?  Propendo per la prima ipotesi.  E’ vero che la preghiera  sembra corretta dal punto di vista formale, poiché non contiene certi elementi  tipici degli scritti magici e combattuti dalla Chiesa, come i nomi di Dio più stravaganti o di angeli inventati,  né vi compaiono espliciti riferimenti a numeri propiziatori o a particolari mezzi di scrittura (basti pensare all’Encheyridion, attribuita allo stesso Leone III). Tuttavia l’impostazione ideologica rientra nell’universo magico, e non in quello religioso. Che invochi Dio, la Vergine un Santo, o indossi un’immagine sacra,  il cristiano“chiede” una grazia o una protezione nella speranza di ottenerla. Nel pensiero magico, invece, la realtà è un campo di forze in cui l’uomo, per difendersi, deve far intervenire una “potenza” più efficace di quella che lo minaccia; l’evocazione di tale “potenza” attraverso una formula, un gesto, un amuleto indossato, provoca automaticamente la sconfitta di ogni negatività: la magia non chiede”, non prega, dà la certezza dell’effetto benefico. Nell’Epistola  compaiono verso la fine un paio di invocazioni (a Gesù Salvatore, alla Vergine), probabilmente aggiunte in tempi più vicini a noi, ma il discorso nel suo insieme dà per scontato che, indossando l’amuleto, da cui sprigiona appunto una “potenza”, non si verrà toccati dai mali più disparati.


La bolla papale Summis desiderantes affectibus del 1484 anticipò di due anni la pubblicazione del trattato Malleus maleficarum dei domenicani Heinrich Institor Kraemer e Jacob Sprenger, che rappresentò il culmine della lunga evoluzione della concezione di magia e stregoneria e divenne la guida teorica e pratica per quella che fu in epoca moderna una delle pagine più tristi e drammatiche della storia europea: la caccia alle streghe

Siamo di fronte ad una concezione magica, benché molte persone che ho avuto modo di sentire, soprattutto anziani, in perfetta buona fede  recitassero l’orazione o la portassero con spirito cristiano, senza rendersi conto della devianza del testo. Parecchi mi hanno citato il caso di un marito, figlio o parente che, indossando l’Epistola, è stato l’unico di un gruppo a sopravvivere ad un evento bellico (l’affondamento di un sottomarino, la Campagna di Russia). La studiosa valdostana Fernanda Cout mi ha spiegato che in un paesino della sua regione non c’è alcun monumento ai Caduti e che una vecchietta, interrogata al riguardo, le rispose che lì non c’erano stati morti nella Grande Guerra, perché tutti gli uomini recavano con sé la “prière”. Sono affermazioni basate su una convinzione religiosa, e non superstiziosa, a riprova del fatto che dell’Epistola, vista come una semplice orazione o immagine sacra, talora procurata dai sacerdoti stessi, è esistito anche un uso “corretto”. Le due Guerre Mondiali, con il loro seguito di stragi, avevano segnato, con il ritorno della paura, la rinascita della devozione e perciò anche dell’utilizzo di ogni pratica religiosa, giusta o meno che fosse; per questo anche l’Epistola riprese a circolare, insieme ad altre preghiere ed immagini sacre. Il Malgeri (“La Chiesa e la guerra”)  cita numerosi esempi al riguardo, tra cui anche la nostra orazione, sottolineando come la censura fascista bloccasse l’invio di tali scritti ai soldati, considerandoli disfattisti  per il morale delle truppe.


Origini e storia dell’Epistola

Non sapppiamo dove e quando l’Epistola abbia cominciato a circolare, ma possiamo solo formulare qualche ipotesi. Nella preghiera si distinguono “strati” successivi, cioè elementi di periodi diversi che hanno contribuito alla sua formazione: è come un puzzle al quale si è aggiunto via via qualche pezzo. La genesi va ricercata già agli inizi del Cristianesimo, poiché fin dal VI secolo fu diffusa la credenza delle “lettere dal cielo”, spesso recate da un angelo in un luogo sacro. Nel corso del Medioevo esse proliferarono e furono indossate abitualmente come amuleti.  Dopo il Mille in questa tradizione si innestò la figura di Carlo Magno, sul quale erano fiorite molte leggende, in particolare sui suoi presunti viaggi in Italia Settentrionale (in Lombardia e poi nel Trentino, come riferisce Emanuela Renzetti) e addirittura a Costantinopoli e Gerusalemme. La data scritta nell’Epistola è singolarmente vicina al 1165, anno della sua beatificazione voluta dal Barbarossa.  Intorno al personaggio di Carlo Magno nacque una serie di preghiere, a lui attribuite per dare loro importanza o da lui ricevute tramite papi o angeli ed utilizzate come protezione in battaglia, onde poi la  diffusione popolare sotto forma di amuleto per tutti gli usi.  Anna Cornagliotti (“La preghiera di Carlo Magno”) ne cita parecchie, tra cui una in dialetto veneto del XIV secolo, ed osserva che, ad un certo punto, quella che era diventata per definizione la “preghiera di Carlo Magno” si fuse con un’altra di origine assai antica, l’elenco dei nomi di Cristo (ben 72 in certe versioni).


Nel medioevo molte volte vi era una curiosa coesistenza di aspetti pagani e cristiani; ad esempio gli dei pagani invocati in antiche formule venivano affiancati o rimpiazzati da figure cristiane

La studiosa francese, Edina Bozoky (“Charmes et prieres apotropaiques”), fa risalire al XIII secolo la prima preghiera di Carlo Magno, mandatagli da San Silvestro, un’orazione che l’imperatore leggeva prima di ogni battaglia. Successivamente, come mittenti, in genere tramite un angelo, comparvero altri papi e finalmente, a partire dal ‘400, l’invio fu attribuito a Leone III, suo contemporaneo  ed alleato. A questo pontefice la tradizione assegnava anche un vero e proprio trattato di magia, la celebre “Encheyridion”, dove comparivano le più strane “ricette” per realizzare amuleti e scongiuri, ed anche l’elenco completo dei nomi di Cristo.  Malgrado la Chiesa combattesse con accanimento ogni forma di magia, tanto l’Encheyridion quanto l’Epistola furono utilizzate  anche nel ‘500 e nel ‘600, i secoli dei roghi. Sotto l’etichetta di “Epistola di papa Leone III”, circolarono, in latino o in volgare, scritti diversi fra loro e del tutto differenti dal nostro. A Palermo il Cherubini ne ha scoperto uno, più complesso, allegato al trattato “Lapidari”, che parla di pietre e piante ritenute curative; il Galimberti addirittura tre, differenti fra loro, conservati nell’archivio dell’Ospedale Maggiore di Milano, a dimostrazione che i medici, pur storcendo il naso,  li usavano almeno nei casi più disperati. Il Lecouteux nota che una “Benedizione di papa Leone” fu distribuita ai soldati piemontesi, durante la guerra contro Ginevra del 1602, da parte del Duca di Savoia, per cui fu chiamata “Billet des Savoyards”.  Uno studioso del ‘700, J.B. Thiers, nel suo trattato sulle superstizioni,  definisce l’Epistola, proprio per la sua larga diffusione, una delle più “perniciose” vista l’influenza negativa che esercitava sulle menti della gente.

La parte in italiano dell’orazione, con ampio spazio dedicato alla Vergine ed ai Santi, fa pensare ad una nascita dopo il Concilio di Trento, allorché tali culti acquisirono maggior rilievo. L’etnologo Angelomichele De Spirito cita una testimonianza dell’Epistola in un processo per stregoneria tenutosi a Napoli nel ‘700.  Lo studioso osserva che, in tale forma, essa è una “preghiera senza contenuto”, poiché il documento parla di un’Epistola di papa Leone III a Carlo Magno, ne vanta il potere miracoloso, ne raccomanda la divulgazione, ma in realtà non ne riporta il testo. Come tale l’orazione fu diffusa in Italia Centro-Meridionale: infatti le pur non numerose testimonianze da me rinvenute (Firenze, Campagna Romana, Bari, Sardegna) sono tutte costituite dalla sola “cornice” in italiano. E’ probabile che si tratti di un modello semplificato dell’orazione, forse di uso popolare. Benché in questa forma incompleta, la preghiera ha continuato a circolare fino a tempi assai recenti, se il Maritani, parlando di un processo tenutosi a Bari negli anni ’90 del secolo scorso, afferma che una copia era stata rinvenuta addosso ad un  membro della Sacra Corona Unita.


Carlo Magno

Finalmente, tra la seconda metà del 1800 e gli inizi del ‘900, “qualcuno” provvide a riempire la “cornice”, a dare un “contenuto” alla preghiera, aggiungendo qua e là parole e formule in latino, oltre ai soliti segni di croce. E’ un armamentario tipico delle orazioni salvifiche, come i nomi di Dio (“agnus”, “vitulus“, “agios”, ecc.), che si è visto in certi antichi testi erano ben 72, e le frasi tratte dal vangelo di Giovanni, alle quali si attribuivano effetti portentosi. La “cornice” in italiano risulta perfettamente identica ai documenti precedenti, ma ora è riempita con il frasario latino. Non ho potuto scoprire nulla sull’autore della nuova versione. Le citazioni assai frammentarie, che sembrano prese a caso ed accumulate senza una logica, fanno pensare ad una persona priva di competenze specifiche in materia religiosa, limitatasi a riportare parole e frasi usate in questo genere di scritti. Se è vero che molti termini si sono modificati solo perché chi copiava per uso personale la preghiera commetteva errori di trascrizione, tuttavia mi pare che almeno alcune improprietà fossero presenti in origine. Forse l’autore era uno dei tanti guaritori che, per i riti propiziatori, si servivano appunto di frasi latine in modo approssimativo, orecchiate chissà come, ma tali comunque da creare un effetto di mistero sui clienti. La correttezza formale non contava più di tanto, se l’orazione riscosse comunque un notevole successo, diffondendosi immutata, anche a stampa, in tutto il Settentrione. Resta però difficile spiegare come una preghiera di origine così “umile” abbia avuto una tale diffusione rispetto ad altre simili.

Neanche sul luogo di provenienza dell’autore si può affermare alcunché di sicuro, salvo collocarlo in Italia Settentrionale, forse sull’arco alpino. Il signor Chiais mi ha spiegato che la sua tipografia di Vercelli ha  pubblicato su ordinazione la preghiera in fogli volanti fino agli anni ’80 e che le maggiori richieste venivano  dalla zona del Lago Maggiore. Teniamo anche presente che molti esemplari a stampa riportano l’immagine dell’“Agnus Dei”, che era il logo di un’altra tipografia, la Agnelli, operante a Milano ed a Lugano, in Svizzera. Forse la presenza più prolungata che altrove proprio nel territorio tra Piemonte e Lombardia sta ad indicarne anche il luogo d’origine, dove la gente sarebbe rimasta particolarmente affezionata all’Epistola per antica tradizione.


Qualche problema di lettura e di interpretazione

L’Epistola di papa Leone III è un amuleto “collage” polivalente, cioè assemblato con elementi di epoche diverse e destinato a proteggere dai pericoli più svariati. Ad esempio l’elenco dei rischi legati a fenomeni naturali rimanda alle antiche tradizioni pagane, mentre il discorso sulla morte improvvisa e la dannazione è venuto con il Cristianesimo medievale e la “nascita” del Purgatorio. Ampio spazio è dedicato anche ai problemi della salute. Pensiamo al diffuso timore delle emorragie, e non solo dal naso (il primo documento è già del IX secolo). Il sangue era considerato la forza vitale dell’individuo, tanto che alcuni lo ritenevano sede dell’anima, cosicché ogni perdita era vissuta drammaticamente. L’epistassi, poi, vista come un fatto improvviso ed inspiegabile, era attribuita a cause soprannaturali da esorcizzare: si conoscono al riguardo numerosi esempi di scongiuri, citati negli studi di M.P. Fantini e R. Astori, nonché di Marta Faggiotto in “Aspetti della religiosità contadina nella diocesi di Padova”  e del  Lecoueteux (“Grimoires”) per l’area francese.


Nel De civitate dei di Sant’Agostino le divinità pagane vengono considerate creature diaboliche, la cui venerazione altro non è che il tentativo del diavolo di impossessarsi delle anime degli uomini e di distoglierli dall’adorazione del vero Dio

Riguardo  all’invio dell’Epistola a Carlo Magno l’autore fornisce notizie imprecise e contraddittorie. Il papa in questione è Leone III (e non IV, di molto successivo all’imperatore), il quale visse  tra l’VIII ed il IX secolo, e non intorno al 1169, definito “anno di sua salute”: se mai una data da ricordare è il 1165, quando Federico Barbarossa lo fece beatificare. In alcune versioni  il sovrano è impegnato nella “battaglia per la Santa Sede”, in  altre per la “Santa Fede”, ma  non si capisce di quale battaglia si tratti: è un dato che, tramandandosi nei secoli, era ormai diventato nebuloso e non rivestiva più un significato storico, ma simbolico. Contraddittorie sono anche le notizie sul ritrovamento dell’Epistola, di cui sono fornite tre differenti versioni, a riprova che la cornice è un assemblaggio di documenti e tradizioni diverse: all’inizio si afferma che il papa la “mandò” all’imperatore mentre era in “battaglia”; quindi che Carlo la trovò  nell’archivio del suo palazzo; infine che la preghiera fu portata dall’angelo, e questo è un aspetto tipico delle “lettere dal cielo”. In conclusione sono stati affastellati elementi eterogenei tramandati dalla tradizione, senza alcuna coerenza, poiché lo scopo era colpire l’attenzione dei lettori nominando personaggi famosi o fatti miracolosi, in modo da accrescere l’importanza della preghiera.

Le parti in latino, come ho detto, costituiscono talvolta un problema. In alcuni casi derivano da una lunga consuetudine, come quelle tratte dal Vangelo di Luca e soprattutto di Giovanni, ad esempio“et Verbum caro (che talora diventa “carum” ! ) factum est” e “Deus homo factus est”,  ritenute di per sé miracolose o addirittura magiche. In tutte le versioni compare la formula  “Jesus  FFF(F) amen”, dove la lettera F, ripetuta tre o quattro volte, è un altro elemento tipico di amuleti e preghiere-scongiuro: sta per “Filius fecit facit fiat”; ma in testi analoghi ho trovato scritto per esteso “fiat fiat fiat” (rilevato da M. Faggiotto in uno scongiuro trevigiano del ‘300).  Sono comunque formule propiziatorie consolidate dall’uso, poiché ritenute portentose.  Spesso ricorrente,  per il suo valore miracoloso, era la sequenza: “Christus vincit. Christus regnat. Christus imperat”, di cui nel nostro documento compare solo la prima delle tre frasi.

Infine evidenziamo il verbo “erue”, ripetuto tre volte, derivato probabilmente dal “De Profundis”: “strappami, o Dio, dal male”.  A tutto questo frasario desunto da una tradizione ben nota, si aggiungono vari altri elementi, accumulati disordinatamente, che per me sono rimasti purtroppo enigmatici. Ad esempio è un rebus quel “quattuor fulminaribus catolicis”, che potrebbe derivare da un esorcismo dove “fulminar” sta per “anatema” (Du Cange). Anche “Computatione (o “competitione”) spiritus malignos” fa pensare a qualche formula esorcistica. Quanto ad “Elisabet sine sanguine sine non abitet”, forse è desunto da una preghiera per le partorienti, di cui la Santa era una delle protettrici. Non avendo individuato la fonte di tutte queste formule, non mi è stato possibile ristabilirne la lettura corretta e con essa il significato.


Gli effetti degli scongiuri e il culto dei Magi

A Carlo Magno è dedicato anche un passaggio particolare dell’Epistola, che narra come l’imperatore non  sia riuscito a far decapitare un condannato, poiché questi portava indosso proprio una copia della preghiera, a dimostrarne l’efficacia. Questo genere di racconto breve è detto “historiola” (raccontino) ed è un elemento costante di tutte le preghiere-scongiuro ispirate alla magia, per la quale il solo fatto di nominare un evento in cui una certa “potenza” (un angelo, un santo, un talismano) avrebbe esercitato in passato un’influenza positiva basta di per sé  ad evocare un’altra volta tale potenza e ad ottenere automaticamente lo stesso effetto benefico ( cfr ad esempio G. Dolfini, “Sulle formule magiche e le benedizioni della tradizione germanica”). E’ un’ulteriore conferma della  concezione magica a cui l’Epistola si ispira.

Protagonisti frequenti di invocazioni ed amuleti furono anche i Magi, il culto dei quali era assai diffuso soprattutto in Lombardia, poiché Milano ne aveva ospitato le presunte reliquie (traslate dall’Oriente) fino al 1162, allorché il Barbarossa le trasferì a Colonia. Fin dai primi secoli del Cristianesimo, grazie soprattutto ai Vangeli apocrifi, essi erano venuti assumendo una fisionomia sempre più precisa, con i tre nomi fissati dalla tradizione dopo parecchie oscillazioni, ed una vasta fama di  guaritori. Molti amuleti ne recavano i nomi con varie invocazioni, poiché, oltre a proteggere i viaggiatori, si pensava difendessero da epilessia, febbre, mal di testa. Nell’Epistola essi compaiono regolarmente e sono citati per nome, ma con un errore: al posto di Gaspare figura l’arcangelo Raphael, il quale, avendo risanato il biblico Tobia, era a sua volta ritenuto un taumaturgo e in particolare, proprio come i magi, protettore dei viaggiatori e guaritore dalla febbre. Lo sbaglio ricorre in tutte le versioni dell’orazione; quindi doveva trovarsi già nell’approssimativo testo originario.


Un rito magico in un disegno medievale

Due sole versioni a me note dell’Epistola, una dei signori Solero di Mondrone e l’altra inviatami dal Dr. Massimo Bertotti di Cuorgnè, riportano una specifica variante. Accanto ad una Croce più evidente delle altre, dopo la scritta INRI, compare questa aggiunta: “la misura della Croce di nostro Signor Gesù Cristo era lunga più di questa 49 [43] volte; il detto segno ha tanta proprietà che chi la porterà indosso con la sottoscritta orazione sarà libero da ogni pericolo, ecc.”. L’elenco dei pericoli è presente in tutte le versioni, ma senza cenni alle misure della Croce. Non so se questa parte sia andata perduta nel corso delle varie trascrizioni, forse per motivi di spazio, o sia stata aggiunta da qualcuno più zelante. La croce fu usata negli amuleti fin dall’antichità, ma con il Cristianesimo assunse un ruolo fondamentale; tuttavia, essendosi mescolata la religione con i residui del paganesimo, ad essa si attribuì anche una fortissima valenza magica.  Perciò compare, nelle preghiere come negli amuleti, in tutte le forme possibili (a T, a doppia traversa, formata da lettere, come ricorda E. Gulli Grigioni, “L’esorcizzazione della paura”). Diffusissimo fu anche il culto di certi particolari relativi alla passione di Gesù, come appunto le dimensioni della Croce, il numero delle sue piaghe o delle gocce di sangue versato: cifre a cui dovevano  corrispondere altrettante preghiere recitate regolarmente, anche per anni, allo scopo di ottenere un’indulgenza dei propri peccati,  ma che alla fine, come di consueto, finirono per diventare solo più superstizione, poiché si pensava che bastasse portare indosso lo scritto che le elencava per trarne un effetto propiziatorio.  Dell’argomento parla ad esempio Flavio Galizzi in Quaderni Brembani, che si sofferma anche su un curioso amuleto parimenti famoso: una preghiera trascritta su un pezzo di carta a forma di piede, che doveva riprodurre quello della Madonna.


L'articolo è comparso a suo tempo sulla rivista "Panorami", di cui si ringraziano Direttore e Redazione per la gentile concessione.

Si invitano coloro che possiedono o sono al corrente di altri esemplari dell'Epistola di papa Leone, specie se manoscritti, a segnalarli all'autore, che sta proseguendo le ricerche, scrivendo a: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.


 

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