Leggende e Tradizioni

La cantina di Re Artù

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14 Giugno 2017
La cantina di Re Artù

Un’antica struttura di Romagnano Sesia conserva le tracce della saga del leggendario personaggio dei Celti


Ufficialmente è nota come la «Cantina dei santi», ma gli esoteristi la definiscono con tutt’altro nome: la «Cantina di Re Artù»…

Proviamo a guardare da vicino questa singolare struttura che si trova in pieno centro storico a Romagnano Sesia in provincia di Novara. Il primo ostacolo che si pone tra il ricercatore e il soggetto della ricerca è determinato dalla scarsità di fonti disponibili; questa carenza di fatto accentua ulteriormente il mistero che aleggia intorno alla «Cantina dei Santi».

Non è certa l’origine della denominazione: la incontriamo per la prima volta in un documento del 1777, un inventario «de’ Beni dell’Abbazia di San Silvano di Romagnano», ma quasi sicuramente quel luogo doveva essere indicato così già da molto tempo.

Gli storici confermano che la «cantina» era parte integrante della millenaria abbazia benedettina di San Silvano, centro monastico di notevole importanza dell’area novarese.

Strutturalmente, la «Cantina dei Santi» è costituita da un corpo di fabbrica seminterrato, a ridosso e sovrastato da altri; si compone di un ampio atrio a doppio portico, a cui  è accostato un altro portico più recente [XVIII secolo]. Dal portico più antico si accede a due locali, uno dei quali decorato con un ciclo di affreschi risalenti alla seconda metà del XV secolo.

Gli affreschi, originariamente, costituivano una successione scandita da ventotto scene, di cui ne rimane una parte cospicua; l’impianto rimanda allo «stile cortese», con ampi inserimenti di echi provenienti dalla tradizione laica, che si evince soprattutto nella notevole cura nella raffigurazione di armi, corazze, abiti, ecc. L’impaginazione rivela l’influenza dell’impostazione tipica della minitura, che propone ambientazioni accurate, con particolare attenzione per i soggetti vegetali.

I temi dominanti sono di estrazione veterotestamentaria: specificatamente si tratta di vicende di Re David presenti nel I e II Libro di Samuele.

Da quando sono oggetto di studio, questi affreschi hanno suscitato qualche perplessità sull’effettiva identificazione dei soggetti rappresentati: infatti, nell’Ottocento, vi fu chi ipotizzò che Davide e altri personaggi presenti nelle pitture, di fatto fossero allegorie di personalità locali, forse riconoscibili tra membri dell’abbazia e coevi al pittore. Ma l’interpretazione è andata oltre: infatti si sono anche levate voci tendenti a scorgere nella «Cantina dei Santi» un’allegoria dell’epopea di Re Artù…

Se per un momento lasciamo da parte l’interpretazione canonica e ci domandiamo quali siano le motivazioni che possono aver indotto alcuni interpreti a considerare il ciclo di Davide un corpus di affreschi dedicato a Re Artù, siamo nella condizione di formulare alcune ipotesi.

La cantina di Re Artù

La più semplice e in fondo la più banale è determinata dall’apparenza: i soggetti del corpus pittorico sono infatti raffigurati come personaggi del medioevo. Un’impostazione formale che non è affatto straordinaria, poiché spesso i pittori del passato hanno rappresentato personaggi del mondo antico con abiti coevi a quelli degli autori. Stessa cosa si può dire della scenografia. Ma in fondo si tratta di un’interpretazione eccessivamente semplicistica. Proviamo a guardare attraverso un’ottica che vada un po’ controcorrente. Appunto quella più amata dagli esoteristi.

Intanto un aspetto importante: la disposizione degli affreschi. I ventotto riquadri sono collocati su quattro registri da sette riquadri ciascuno. Due registri sono sulla volta e due sulle pareti [uno a destra e l’altro a sinistra]. Il percorso di lettura presuppone la partenza dal primo riquadro del registro di destra della volta [su lato opposto all’ingresso]; poi lo sguardo corre fino al settimo riquadro; al fondo, si sposta sul registro di sinistra della volta, arriva al lato opposto e passa alla parete di destra e alla fine a quella di sinistra. Di fatto compie un itinerario a spirale: simbolicamente una sorta di percorso contrassegnato da un andamento che impone all’osservatore una traiettoria costituita da un’impostazione con totalità rituali.

Basta questo arzigogolato percorso per assegnare un’identità «altra» al soggetto della «Cantina dei Santi»?

Gli esoteristi ci fanno osservare che vi è una singolare somiglianza tra il Re David di Romagnano e i ritratti di Re Artù [per quanto possano essere affidabili]: le analogie sono piuttosto evidenti nelle illustrazioni del Christian Heroes Tapestry [1385] in cui il sovrano, che è una delle pietre miliari della mitologia anglosassone, presenta caratteristiche fisiognomiche riconoscibili nelle raffigurazioni della «Cantina dei Santi».

Un caso?

Per gli studiosi dei simboli il caso non esiste, perché a monte di alcune espressioni della cultura vi sarebbe sempre un «progetto”, naturalmente sconosciuto ai non iniziati.

Molte le figure, che nella tradizione inglese sono state indicate come l’archetipo sul quale sarebbe stato modellata la figura di Re Artù; si scende fino al profondo paganesimo, nell’Età del Bronzo.

Tutto ciò naturalmente non risolve la questione relativa alle motivazioni che hanno indotto a identificare [o confondere] Davide con Re Artù. Solo apparentemente – ci fanno osservare gli esperti di esoterismo – perché il committente del ciclo pittorico avrebbe inteso celare dietro la più consueta raffigurazione canonica, un personaggio che non è stato mai particolarmente amato dalla tradizione artistica cristiana.

Artù di fatto è circondato da un’aura pagana che, malgrado i numerosi tentativi, non è stata cancellata completamente.

Possiamo quindi ipotizzare che il committente e l’esecutore del ciclo pittorico di Romagnano Sesia fossero animati dalla volontà di mantenere viva quell’aura pagana che, per molti aspetti, costituiva lo zoccolo duro di un’identità culturale in cui molti si riconoscevano? L’ambiente colto che ha prodotto questi affreschi ha inteso suggerire una lettura «altra» dell’esperienza religiosa, tratteggiando un percorso che per il suo contenuto e le sue influenze induce l’osservatore ad abbandonare i ceppi delle convenzioni e andare oltre…

La cantina di Re Artù

Si aggiunga il già indicato itinerario a spirale, che rappresenta una «prova” alquanto significativa del ruolo simbolico di questo ciclo di affreschi, strutturato in modo tale da imporre un andamento processionale, comunque un movimento collegato all’iter iniziatico.

Inoltre, negli affreschi è ricorrente il tema dello scontro: caratteristica che bene si inquadra nella figura del dux bellorum incarnata da Re Artù in molte rappresentazioni che lo vedevano protagonista.

Vi è poi il tema della spada. Come è ben noto quest’arma ha svolto un ruolo rilevante nella saga arturiana [tutti ricordiamo la nota Excalibur], divenuta un simbolo trainante nelle mitologia del ciclo cavalleresco anglosassone.

A Romagnano Sesia la spada è un tema ricorrente e, sul piano esoterico, trova la sua analogia con l’esperienza di Re Artù nel IX affresco, in cui è raffigurato Re Davide senza spada, che si impossessa dell’arma dei Golia, sguainandola dal fodero del gigante e con essa gli taglia la testa. La spada prelevata da Davide è quindi l’Excalibur estratta dalla roccia: impossessarsene significa acquistare potere, diventare il dux bellorum

Emblematicamente l’ultimo affresco è accompagnato da un cartiglio che chiarisce l’avvenuto passaggio da uno stadio a un altro: «Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele».

Re Davide ha raggiunto il suo ruolo attraverso un itinerario iniziatico: lo stesso itinerario che ha dovuto percorrere Artù per diventare re.

Nella «Cantina dei Santi», come in un allegorico athanor, è avvenuta quindi una sorta di trasmutazione alchemica che possiamo provare a leggere secondo i percorsi tracciati dall’esoterista, raggiungendo così piani in cui realtà e immaginazione si amalgamano fino a confondersi.


Massimo Centini, antropologo, è docente di Antropologia culturale presso l'Università Popolare di Torino. Ha lavorato a contratto con Università e Musei italiani e stranieri ed ha pubblicato saggi con numerose case editrici. Ha insegnato Antropologia Culturale all’Istituto di design di Bolzano. Insegna “Storia della criminologia” ai corsi organizzati da MUA – Movimento Universitario Altoatesino – di Bolzano