Leggende e Tradizioni |
La Pereuva: il libro-altare |
08 Maggio 2014 | ||||||||
I segreti della Pietra Uovo dell’Uja di Mondrone
Le zone delle Alpi in cui esistono rocce incise, corrispondono quasi sempre a regioni di pascolo, spesso in posizione elevata, collocate sui fianchi di qualche montagna particolarmente visibile tutt’intorno. Così avviene per la Pereuva, pera-euva, la Pietra Uovo, un vero e proprio monumento istoriato, situato nella Valle di Ala, in Piemonte, alle falde dell’Uja di Mondrone. Sulle carte il toponimo, indicante l’omonimo e poco discosto alpeggio abbandonato da anni, è divenuto Parona o Parova ed il monolite in alcuni testi che si interessano di incisioni rupestri – non si comprende su quali fondamenti – viene segnalato come “parete di Inanna” (Inanna fu la dea sumera della vegetazione e della maternità). La Pietra-uovo si può raggiungere lungo la comoda, ma alquanto monotona trattorile che collega Mondrone a Pian Prà, servendo le muande dei Caoudré, l’alpeggio di Pian Bosch e toccando altri insediamenti ormai abbandonati; la si scorge però dall’alto e può anche passare inosservata a coloro che distrattamente seguono il percorso GTA verso il lago Vasuero ed il Colle del Trione. Per scoprirla in tutta la sua grandiosa magnificenza, è necessario salire lungo il vecchio sentiero, a tratti scomparso, che la raggiunge dopo aver percorso, in un luminoso lariceto, uno stretto valloncello aprentesi all’improvviso in un anfiteatro disseminato qua e là da massi erratici di modeste proporzioni; essa emerge dall’erta china, che la nasconde sino all’ultimo allo sguardo, ergendosi sul pianoro quale una grande stele naturale con vaghe sembianze di uovo.
Sicuramente la sua forma avrà colpito i pastori che sin da remote epoche frequentarono isolati pascoli a valle dell’Uja. Da sempre l’uovo è ricco di simbologie: rimanda alla sfera della sessualità e della fertilità, raffigura l’inizio di tutte le cose, la vita del mondo, la fecondità della terra, la forza di tutte le forze produttrici della natura. L’uovo ha l’apparenza di un oggetto senza vita, eppure contiene, nascosto in sé, un germe vitale che si riteneva trasmissibile tramite la magia. Pensiamo alla raccolta delle uova fatta dai giovani (gli esseri più ricchi di energie vitali) ancora oggi in molte cerimonie primaverili, primo fra tutti il Carnevale; ricordiamo l’usanza, riservata alle spose, di mangiare un uovo il mattino delle nozze o perlomeno di portarlo nascosto nell’abito; o ancora la consuetudine di sotterrare un uovo nel campo o nella stalla, risalente all’antica Roma dove le uova, il vino, il latte ed il miele erano usati nelle cerimonie di purificazione dei campi. Nelle Basse Alpi francesi, nel territorio di Gréoux-les-Bains, su un’altura sorge una cappella campestre titolata a Notre Dame des oeufs (Nostra Signora delle Uova). Qui le donne con problemi di fertilità, sino alla metà del secolo scorso, salivano in processione, lungo un ripido sentiero, il lunedì di Pasqua recando con sé due uova – uno per ciascuna mano – che non dovevano assolutamente rompersi durante il tragitto; giunte presso la cappella ne ingollavano subito uno, l’altro lo sotterravano nei pressi dell’edificio; nell’occasione della ricorrenza della Natività di Maria (8 settembre) ritornavano sul luogo e dissotterravano l’uovo. Se questo era ancora integro e conservato, presto sarebbero rimaste incinte e avrebbero partorito felicemente. Ancora oggi, l’interno della cappella conserva lettere con impetrazioni di gravidanza, uova, numerose fotografie di neonati, fiocchi con l’annuncio di nascite, pupazzetti e giocattoli offerti alla Madonna dalle madri, provenienti da tutta la Francia, come riconoscenza per la grazia ricevuta. Nulla di eccezionale, quindi, se il monolite dalla curiosa forma, emergente con maestosa prepotenza dal pascolo, fosse, probabilmente, in epoche remote, idolo da adorare, al quale affidare la prosperità degli uomini, degli animali e delle coltivazioni. La parete sud-est della Pereuva strapiomba per più di venti metri a perpendicolo sulla zona prativa ed è incisa alla base con numerosi petroglifi, sino ad un’altezza di circa due metri da terra: scritte di ogni tempo, una in caratteri gotici, nomi, iniziali di nomi, date diverse: 1770, 1826, 1867, 1897… A fare della Pereuva un monumento particolare, diverso dai soliti massi recanti incisioni pastorali, sono però altri segni, di tipo non figurativo.
Notevoli le numerose coppelle, alcune tra esse assai voluminose: due di forma circolare, una triangolare, una trapezoidale; le microcoppelle disposte a formare un ovale oppure un cerchio, risultano interessanti soprattutto per la costante dei numeri sette ed otto che può far pensare a riferimenti magici o a qualche forma di cerimoniale. I segni cruciformi, assai diffusi in tutte le vallate alpine, sulla parete risultano moltiplicati quasi in forma ossessiva: appartengano essi a periodi antecedenti o successivi al Cristianesimo (ma sicuramente vi fu continuità di questo repertorio legato ai culti di fertilità della terra dal 4000 a.C. sin dopo il Medioevo e, osservando alcuni graffiti murali moderni, si può ancora ritrovare la stessa simbologia legata esclusivamente alla sfera della sessualità) sono sicuramente indice della sacralità del luogo. Alcuni tra essi potrebbero essere identificati (con molta prudenza) quali antropomorfi, rappresentanti cioè l’essere umano. Il cerchio radiato (otto microcoppelle unite ad un centro da altrettanti raggi e poi fra loro da una linea di circonferenza), così come le numerose figure stellari (alcune più recenti, visibili ancora una decina d’anni or sono, riproducenti rosoni a quattro, cinque o sei petali inscritti in uno o più cerchi concentrici) paiono, con il loro movimento rotatorio, caricare di energia la staticità della pietra. Tutte le forme circolari, forse collegate alla osservazione diretta del disco solare e lunare, sono fra i più antichi segni tracciati dalla mano dell’uomo e quelli che più a lungo sono sopravvissuti nella storia umana. Pare che procreazione e fertilità abbiano avuto nel cerchio la loro identificazione di esperienza religiosa: il segno circolare può infatti collegarsi non solo al sole o alla luna, ma anche alla forma della vagina attraverso la quale ogni essere vivente viene alla luce o alla cavità contenente l’oscurità del mistero. Se pensiamo alle coppelle circolari, cavità in cui spesso ristagna l’acqua piovana, si potrebbe cogliere la rappresentazione dell’utero materno dal quale nasce la vita ed al quale si credeva ritornare dopo la morte. Poiché la nascita conosciuta era quella legata al parto e alla donna, solamente tale immagine poté essere rielaborata per la strutturazione di un modello simbolico di “nuova nascita” e di vita futura oltre il decesso. Tanto che il defunto veniva sepolto rannicchiato in posizione fetale nel grembo della Madre Terra (in humus = inumato) o in una cavità della roccia, simbolo dell’utero femminile, cosparso di ocra rossa come il “sangue della vita” di cui è imbrattato il neonato al momento in cui viene alla luce. Particolarmente interessanti nel contesto delle figure circolari, i rosoni formati da sei petali (rappresentati come stella all’interno di un cerchio): segni formati da sei elementi per millenni sono stati dipinti o incisi allo scopo di allontanare gli spiriti cattivi ed attrarre quelli favorevoli per propiziare l’agricoltura e l’allevamento.
Sulla parete della Pereuva sono poi riprodotti alcuni segni alberiformi e pettiniformi, sottili incisioni lineari e filiformi appartenenti ad una cultura remota. Le figure dall’aspetto di albero – linea centrale con rami orizzontali o discendenti a spina di pesce, il classico abete disegnato dai bambini – paiono collegate alla figura umana: l’albero, come l’uomo, infatti, nasce, cresce, si riproduce (ma può anche essere sterile), muore, proprio come l’uomo. Non a caso questi segni vengono indicati come “homme sapin”, uomo-abete. Lo schema «a pettine» venne invece generalmente usato per rappresentare gli animali Anche i segni a paletta o a forma di balestra presenti sulla parete potrebbero essere collegati alla figura umana (uomo con le mani congiunte sul capo e i piedi uniti): il cosiddetto uomo a phi, dalla forma della lettera dell’alfabeto greco. La Pereuva, come tutti i luoghi legati ad antichissime forme di religiosità, è sede di una leggenda riguardante un altro “resto fossile” giunto sino a noi da primordiali miti: l’uomo selvatico, immagine di lontani progenitori, attraverso le cui vicende si ripercorre simbolicamente l’evoluzione dell’apprendimento delle tecniche da parte degli uomini della preistoria. Si narra che nell’anfratto aperto fra le rotondità nella parete nord del monolite, là dove a primavera lo stambecco viene a brucare i teneri germogli dei larici, vive un servadjiou (uomo selvatico), rimasto, solo, accanto al suo dio di roccia. Egli ogni giorno canta la preghiera fatta di segni e invoca il sole, l’acqua, l’erba e la preda. Quando all’inizio dell’estate, gli arbouòrn (i maggiociondoli) disegnano i boschi di grappoli d’oro e i declivi fioriscono di primule lilla, egli, come tanti millenni or sono, lascia il suo riparo, percorre antichi sentieri sino ai pascoli di Pian Saulèri, a monte del Pian della Mussa, da dove torna quando ormai gli alberi bruciano di neve. Gli uomini oggi lasciano labili segni che presto saranno cancellati, non osano più la sfida dell’eternità, come gli antenati che della Pereuva seppero fare un libro ed un altare, e temono il “per sempre”. Lou servadjiou, dall’oscurità della caverna, li osserva nascostamente e sente tremare il suo cuore per questi figli senza futuro.
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