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Il “Mago”, la prima delle 22 lamine degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, considerati come un Libro di sapienza antica
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L’importanza della cultura dei Tarocchi. I 22 Arcani Maggiori come un Libro di antica sapienza. Fetonte e l’origine mitica dei Tarocchi. Le reminiscenze della Ruota d’Oro di Fetonte nella Bibbia e nei miti del pianeta
di Giancarlo Barbadoro
Perché parlare di Tarocchi
Nel nostro tempo, tecnologizzato e ridondante di problemi di attualità sociale, potrebbe sembrare anacronistico parlare di Tarocchi, un argomento che appare oramai desueto anche se ha affascinato i salotti culturali dell’Ottocento. Un argomento che tuttavia attrae ancora l’attenzione dei pochi esoteristi moderni ed è nelle mani dei molti cartomanti che bucano lo schermo delle trasmissioni televisive della notte.
Parlare oggi di Tarocchi non significa andare controcorrente nei confronti dello spirito del mondo moderno, proteso verso nuove conquiste scientifiche. Anzi sembra doveroso parlarne per non dimenticare pezzi di cultura che rappresentano le radici storiche della nostra attuale generazione.
I Tarocchi rappresentano infatti un messaggio di conoscenza, di amore per la Natura e di libertà che ci giunge da molto lontano e che può aiutare a focalizzare l’identità personale di ogni individuo. Un vero e proprio simbolo di identità culturale che può rappresentare un riferimento e un baluardo verso tutto ciò che sta spersonalizzando la società umana imponendole valori effimeri che non le appartengono. Sono tanti i problemi sociali e morali che possono impegnare il nostro tempo, ma se non abbiamo radici storiche e chiarezza interiore che distinguano la nostra identità saremo sempre e solo destinati a un mondo inumano che si pone al di fuori dei valori della Natura e dell’individuo.
I Tarocchi come un Libro di sapienza
I Tarocchi non sono da vedersi solamente come un mazzo di carte da gioco, ma rappresentano un vero e proprio libro di sapienza che ci giunge dall’alba dell’umanità.
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Fetonte e la Ruota d’Oro. L’antico
druidismo attribuiva l’origine dei Tarocchi a questo dio disceso
anticamente dal cielo per donare la conoscenza all’umanità
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Secondo l’antico sciamanesimo druidico dei Nativi europei questo Libro era costituito dalle ventidue carte, o lamine, che oggi conosciamo come gli “Arcani Maggiori”. La sua origine veniva riferita al mito del Graal, che narra di un evento ricordato per la sua straordinarietà, accaduto milioni di anni orsono. Considerato significativo poiché avrebbe rivoluzionato la storia dell’intero pianeta.
Del resto il significato della parola stessa del Graal era interpretato dalle scuole ermetiche come un acronimo che significava: Gnosis Recepita Ab Antiqua Luce. Una conoscenza ricevuta da una Antica Luce che si era manifestata nella notte dei tempi.
Il druidismo concepiva le ventidue lamine dei Tarocchi come le pagine del Tai Shan, il “Libro della Natura” o il “Libro Maestro”, ciascuna delle quali manifestava archetipi di conoscenza del mondo e dell’interiore.
L'origine mitica dei Tarocchi
L’antico druidismo faceva risalire l’origine dei Tarocchi al mito druidico di Fetonte, che storicizza con precise cronache di eventi quello del Graal. Il mito narra di un dio disceso dal cielo in tempi immemorabili nella Valle di Susa, in Piemonte, dove aveva fatto costruire dai suoi due aiutanti di metallo dorato un grande cromlech di pietre erette. Qui aveva insegnato all’umanità il suo sapere circa le scienze, le arti e l’alchimia dello spirito.
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L’Hatmar, il “cerchio degli Hat” che
venne donato da Fetonte, costituito da 22 archetipi di conoscenza
dell’universo e dello spirito. All’origine era costituito dalle gemme,
dalle lamine e dai suoni dell’alfabeto sacro. Esso rappresenta la base
su cui sono stati realizzati i Tarocchi odierni e altre forme di
esoterismo
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Prima di congedarsi dall’umanità aveva donato l’Hatmar, la “ruota dei 22 hat”, gli archetipi di conoscenza, che sarebbe stata ricordata attraverso il simbolo di una ruota d’oro forata. Un simbolo che ricorre spesso nella storia del Celti e che è ancora oggi presente in molte culture native, dagli Aborigeni australiani ai Nativi americani sino alle tradizioni della Cina contemporanea. In origine i ventidue hat erano rappresentati da altrettante gemme, così come da ventidue lamine simboliche e dalle lettere dell’antico alfabeto sacro.
In seguito, dopo la perdita del mitico Eden, per sopravvivere attraverso il tempo alle censure e alle persecuzioni culturali delle ideologie di potere storiche, i ventidue archetipi vennero accostati con altri elementi, come accadde per le carte da gioco che divennero il mazzo dei Tarocchi così come lo conosciamo oggi. Come già diceva Platone, solamente i miti e i simboli possono continuare a trasmettere, inalterati nel tempo, un messaggio di conoscenza senza che questo possa essere dimenticato o travisato da interpretazione di comodo.
La diffusione dei Tarocchi tra la gente comune, dedita al suo utilizzo come gioco, nei tempi oscuri della storia europea ha consentito al Libro dei Tarocchi di continuare ad esistere e di essere riprodotto senza essere soggetto ad alcuna censura. Soprattutto ha potuto rappresentare in tutta libertà, al pari delle gemme che venivano indossate, un prezioso testo di conoscenza in tempi in cui il possesso di un qualsiasi libro eretico avrebbe portato al rogo.
Nel 1700, l’esoterista francese Court de Gebelin, impegnato a stabilire l’origine storica dei Tarocchi - divenuti oramai popolari tra nobili e gente comune-, giunse ad attribuirla a Thot, il dio egizio dalla testa di Ibis, padre della scienza e inventore del linguaggio e della scrittura. Secondo la sua interpretazione il libro sarebbe stato lasciato da Thot agli uomini dopo la morte di Osiride allo scopo di ricostruire il suo regno per la pace e la prosperità di tutta l’umanità.
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Le rune nel loro aspetto divinatorio che prendono ispirazione dall’Hatmar delle gemme
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La figura di Thot, conosciuto anche come l’Ermes greco e il Mercurio latino, riporta inevitabilmente al mito di Fetonte e al Graal con cui condivide forti similitudini e valori morali.
Le reminiscenze storiche della struttura originaria dei Tarocchi
Possiamo osservare ancora oggi l’esistenza di varie reminiscenze storiche e culturali che riflettono il principio della ruota dei ventidue archetipi di conoscenza donati da Fetonte all’umanità.
Innanzitutto il nome stesso attribuito ai Tarocchi deriverebbe dalla parola egizia tarot col significato di “ruota”. Una ruota che si chiude su se stessa all’infinito, proprio come vengono posti i ventidue Arcani Maggiori dei Tarocchi.
Ritroviamo il principio della “ruota d’oro” di Fetonte nel mito celtico che è all’origine delle ventidue rune, in cui si narra che Loki, trasposizione nordica di Fetonte, insegna a Odino, il dio degli Asi, come procurarsele rimanendo per nove giorni e nove notti appeso all’albero mistico dell’Yggdrasil.
Troviamo poi riferimento dei ventidue archetipi di conoscenza anche nell'alfabeto delle ventidue lettere del fenicio Kadmos, l’Antico, vissuto nel II millennio a.C., che lo introdusse nell’antica Grecia allo scopo di civilizzarla e che rappresenta l’alfabeto greco originale.
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La “Ruota d’Oro” che simboleggia l’Hatmar di conoscenza donato da Fetonte. Questo simbolo è rimasto patrimonio spirituale dell’umanità. Lo usavano gli antici Egizi per simboleggiare il Sole, e presso i Celti era conosciuto come shahqt-mar per simboleggiare lo Shan, la Natura nel suo aspetto invisibile e immateriale. Il simbolo è ancora oggi usato presso i Nativi americani, gli Aborigeni australiani e i popoli dell’Oceania. E’ anche usato dall’esoterismo cinese
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Possiamo citare infine anche l’alfabeto sacro dell’Ebraismo, composto da ventidue lettere, sul cui simbolismo è stata costruita l’architettura della conoscenza esoterica della Qaballah, la “Tradizione”.
La memoria culturale dei Tarocchi nella Bibbia
Una delle tracce più interessanti dei Tarocchi l’abbiamo proprio nel cuore di quella Chiesa che ha cercato di estirpare con tutti mezzi possibili l’antica conoscenza del druidismo celtico.
Cosa che non dovrebbe sorprendere più di tanto poiché la Chiesa ha sempre cooptato e nascosto gelosamente tra le pieghe della propria dottrina molte cose che appartengono alla conoscenza dell’antico druidismo.
In questo caso abbiamo uno specifico riferimento ai ventidue archetipi del Libro dei Tarocchi proprio nel testo sacro della Bibbia e precisamente nel “Libro dell'Apocalisse”, dal greco “la Rivelazione”, scritto dall’apostolo Giovanni nel primo secolo d.C.
Il Libro dell’Apocalisse è costituito da 22 capitoli. San Giovanni lo scrisse immettendo nel testo di ciascun capitolo la descrizione della corrispettiva lamina dei Tarocchi. Come se facesse una interpretazione, nella sequenza tradizionale delle lamine sancita dal druidismo, della lettura del futuro dell’umanità. L’interpretazione di san Giovanni nel seguire l’ordine numerico delle lamine è la sola differenza che potrebbe esserci tra lui e un qualsiasi cartomante o veggente che, prima di procedere alla lettura delle lamine, provvede a smazzare le carte per renderle casuali nella loro estrazione.
La numerazione in ventidue capitoli del Libro dell’Apocalisse non è affatto una coincidenza poiché, se si accostano i significati delle lamine dei Tarocchi al contenuto di ciascuno dei capitoli, ci si può rendere conto di una completa similitudine di valori e di contenuti simbolici. Volendo, si potrebbe addirittura usare questo libro per avere un approfondimento esoterico sul significato di ciascuna lamina.
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Il dio egizio Thot. È considerato la trasposizione egizia di Fetonte e come a Fetonte gli sono attribuiti il dono della scrittura e le varie scienze del mondo e dell’Alchimia
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Possiamo fare alcuni esempi di corrispondenze dei valori simbolici esistenti tra le lamine dei Tarocchi e il contenuto del Libro dell’Apocalisse. Se prendiamo in esame la ventesima lamina dei Tarocchi, conosciuta come “il Giudizio”, troviamo che il corrispondente capitolo dell’Apocalisse si riferisce propriamente al Giudizio dei morti di fronte a Dio. Oppure, se prendiamo la ventunesima lamina, conosciuta come il “Mondo”, che si riferisce alla realizzazione delle imprese spirituali e umane, possiamo constatare come il corrispondente capitolo dell’Apocalisse si riferisce alla realizzazione di un “nuovo mondo” e della “Nuova Gerusalemme”.
E così via per gli altri capitoli dell’opera di san Giovanni.
La storia moderna dei Tarocchi
La comparsa del mazzo dei Tarocchi, così come li conosciamo oggi, è avvenuta in Europa in epoca medievale procedendo attraverso varie versioni grafiche. Non dimentichiamo che l’Anno Mille ha rappresentato per il druidismo europeo una sorta di rinascimento spirituale che ha dato vita a molte iniziative tese a ridare risalto alla cultura celtica.
Nel 1300, i Tarocchi fanno la loro prima apparizione in Francia, ad opera del Gringonneur che li realizzò su commissione del re di Francia Carlo VI.
Nel 1447, compare in Italia il mazzo artistico detto dei “Visconti-Sforza”, commissionato a Bonifacio Bembo da Francesco Sforza in occasione delle sue nozze con Bianca Maria Visconti.
Proprio sull’ispirazione suggerita dai simboli e dall’impronta artistica del mazzo “Visconti-Sforza” dal 1500 in poi a Marsiglia iniziano ad essere realizzati nuovi mazzi di Tarocchi da vari autori e in più versioni.
L’ultimo mazzo di Tarocchi, che rimane il più famoso, compare nell’Ottocento ad opera dell’editore francese Grimaud, sempre di Marsiglia, che li rielaborerà in una ulteriore versione. Evento che consentirà una grande divulgazione popolare del gioco.
Come leggere le lamine del Libro dei Tarocchi
Il libro dei Tarocchi è stato scritto nel linguaggio dei simboli nella considerazione che gli uomini di ogni tempo potessero leggerlo al di là dei diversi linguaggi e orientamenti culturali.
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L'ultimo libro di Giancarlo Barbadoro "I Tarocchi e il segreto della Ruota d'Oro", ed. Keltia, presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino
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Gli sciamani dell’antico druidismo dicevano che Fetonte lo aveva scritto nel linguaggio dei sogni affinché ogni individuo potesse interpretarlo al di là del tempo e dello spazio geografico.
Ogni proprietà e colore delle gemme, ogni suono dell’alfabeto sacro e ogni simbolo posto sulle lamine manifesta così un suo preciso contenuto in grado di giungere al profondo dell’animo umano risvegliando i corrispondenti archetipi di conoscenza. Le pagine di questo Libro vanno quindi lette introiettando i significati simbolici che ciascuna di esse manifesta in maniera specifica.
Ciascuna lamina del Libro dei Tarocchi ancora oggi riporta una serie di simboli che manifestano precisi significati.
Un esempio di lettura dei simboli dei Tarocchi lo possiamo avere nell’esegesi dei significati simbolici della prima lamina. Qui la figura centrale è il Mago, colui che inizia l’Opera. Se nell’Apocalisse questa figura è vista come Dio che crea l’universo, nell’interpretazione umana abbiamo l’Iniziato che intraprende il lavoro della sua opera interiore.
Egli è il sacerdote che officia il suo rito personale con gli oggetti magici che sono riconducibili al mito del Graal e che appaiono sul simbolo totemico del Tai Shan usato nella palestra della Kemò-vad, la meditazione dinamica degli antichi druidi. Sul tavolo compaiono infatti quattro specifici oggetti: la moneta, ovvero la ruota forata dei Celti, il bastone, ovvero il candeliere a tre braccia, la lama, ovvero la spada Excalibur, e la coppa del mitico Graal.
Tutto quello che è rappresentato nella lamina trattiene un suo preciso significato. Ad esempio il tavolino, disegnato in modo che compaia su tre gambe, rappresenta il mondo in cui l’Iniziato, il Mago, fa esperienza. E’ il modo di raffigurare il mondo di Abred, l’universo nato dal Big Bang identificabile nelle tre dimensioni fisiche dello spazio e dove si evince la quarta, quella del tempo, rappresentata dall’azione in atto da parte dello stesso Iniziato.
Eliphas Levi, pseudonimo di Alphonse Louis Constant, noto esoterista francese del 1800, dichiarò in merito al metodo di approcciarsi alla lettura della lamine: «I simboli dei Tarocchi sono finestre aperte sull’Infinito… sono un Libro muto, ma potenzialmente in grado di rispondere a ogni domanda, e quando si riesce a far parlare i simboli, essi superano in eloquenza qualunque discorso, poiché permettono di ritrovare la Parola Perduta, cioè l’eterno pensiero vivente, del quale sono espressione enigmatica».
www.giancarlobarbadoro.net
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