A cura di Filippo Portoghese e Alessandro Ricciuti, avvocati di Animal-law Gli animali nella Costituzione italiana Le forze politiche in Parlamento hanno raggiunto un accordo, secondo fonti giornalistiche, per la modifica dell’articolo 9 della Carta Costituzionale, quello che già tutela i beni culturali e il paesaggio. L’integrazione prevista dice che la Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni». E che «la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». La notizia è stata accolta con grande favore dalla parte della popolazione sensibile alle vicende che coinvolgono gli animali e sicuramente rappresenta un segnale importante poiché introduce la tutela degli animali nel documento costitutivo della nazione, anche se il percorso legislativo non è ancora concluso, poiché fino al momento del voto non si può essere certi che non intervengano cambiamenti anche importanti; tuttavia una riflessione è possibile. Si deve affermare che, come detto in precedenza, il testo rappresenta un’importante dichiarazione di intenti ma si deve anche, purtroppo, ricordare che non è niente di più. La sottolineatura del rimandare la disciplina dei modi e delle forme di tutela alle successive leggi che saranno emanate ricorda che il vero effetto pratico garantito sarà da giudicare nel prosieguo del tempo. Praticamente è quanto avviene già adesso, si è solamente inserito il principio nella Costituzione. E, come adesso, il punto dirimente è la quantificazione del livello di tutela: esaminando le leggi europee di tutela del benessere, recepite obbligatoriamente dalla nostra legislazione, si apprende che il benessere cui si fa riferimento sono condizioni di vita che coniugano le esigenze degli animali con gli interessi economici umani e la mediazione penalizza normalmente gli animali rispetto al valore commerciale. Si comprende che, in epoca di spettacolarizzazione dei risultati politici, si sia data molta enfasi all’ipotesi, ma giova ricordare che le parole, anche quelle belle, vanno giudicate, come sempre in politica, piuttosto dai fatti e i fatti non sempre sono concordi con le parole. In Piemonte i “diritti degli animali” sono presenti nell’ultima versione dello Statuto regionale ma ciò non toglie che, di volta in volta, la legislazione sulla caccia abbia peggioramenti continui che comportano l’aumento degli animali uccisi. Enrico Moriconi, Medico veterinario, Garante Diritti Animali Regione Piemonte La pipì del cane sul muro del palazzo Milano. Semaforo rosso. Attendo il verde. Una signora inizia l’attraversamento insieme al proprio cane, rigorosamente al guinzaglio (non è scontato…). Qualche metro e il quadrupede si ferma, si accovaccia e si libera di una pipì forse troppo a lungo trattenuta. La signora tira fuori dalla borsetta una bottiglietta di acqua e, sprezzante dell’incombente pericolo (eravamo almeno quattro “motorette” in attesa di scatenare l’inferno all’imminente luce semaforica verde), cerca di coprire “l’onta” lasciata dal suo cane. Con signorilità quindi riprende l’attraversamento. La seguo con lo sguardo sperando che si volti. Le avrei voluto battere le mani in segno di sincero apprezzamento. Un gesto forse inutile (considerato il manto stradale già piuttosto malandato anche se, come si dirà ai fini del reato, è irrilevante che l’alterazione sia temporanea o superficiale o facilmente reintegrabile nel suo aspetto originario) ma pieno di significato. Si chiama, credo, educazione. Ricordo (senza che tanto possa fare gridare allo scandalo) che finanche la Corte di Cassazione penale (sentenza n.7082. del 2015) ebbe modo di esprimersi sulla pipì del cane. Tizio aveva permesso al proprio cane di orinare sulla facciata di un edificio dichiarato di notevole interesse storico rimediando una condanna per deturpamento e imbrattamento di cose altrui. Invero Tizio, dopo che il cane aveva orinato (istinto fisiologico che Tizio non avrebbe potuto orientare), si era preoccupato di ripulire la parte del muro imbrattata, versandovi dell’acqua, circostanza questa che era incompatibile con la volontà di imbrattare il muro. E il reato contestato (deturpamento e imbrattamento di cose altrui) richiede la sussistenza del dolo anche generico, cioè della volontà o previsione di arrecare un danno e non solo Tizio si era preoccupato di ripulire la parte del muro imbrattata con l’acqua, ma non risultavano elementi da cui desumere che tra Tizio ed il proprietario dell’edificio vi fossero motivi di astio e di rancore, tali da indurre a tenere la condotta a lui contestata. Quello che ritengo interessante è la presa di posizione della Cassazione (penale) per cui la questione coinvolge interessi diffusi nella vita quotidiana nella quale si contrappongono i diritti e gli interessi di milioni di persone divisi tra la legittima tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi accompagna animali da compagnia sulla pubblica via. Si tratta di rapporti, interessi ed esigenze talvolta contrapposti che si inseriscono in un più ampio quadro di convivenza, di rispetto civile, di tolleranza ma anche di malcostume di fronte ad un fenomeno che non può essere sottaciuto in quanto parte della realtà quotidiana soprattutto nei grandi agglomerati urbani. Veniamo dunque alla decisione della Corte di Cassazione nel caso in esame (Tizio condannato dal Giudice di Pace era stato assolto in appello). Il dolo nel caso specifico è dunque escluso. Ma la colpa cosciente che si ha quando una persona non vuole quell’evento che si è determinato che, pur essendo immaginabile da chi agisce sito il profilo causale si è determinato trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo? Un tema davvero non facile nel panorama sia dottrinale che giurisprudenziale che non può certo qui nemmeno essere accennato. Provo solo a semplificare al massimo. Uno. E’ noto che il condurre un cane sulla pubblica via apre la concreta possibilità che l’animale possa imbrattare con l’urina o con le feci beni di proprietà pubblica o privata. Una indubbia probabilità dell’evento che Tizio nel momento in cui esce con il proprio cane non poteva non essersi rappresentato accettandone quindi la situazione di rischio. Due. E’altrettanto noto che per quanto un cane possa essere stato bene educato, il momento in cui lo stesso decide di espletare i propri bisogni fisiologici è talvolta difficilmente prevedibile e, comunque, non altrimenti sopprimibile mediante il compimento di azioni verso l’animale che si porrebbero al confine del maltrattamento nei confronti dello stesso. Tre. E’ pure noto che i cani non esplicano i propri bisogni fisiologici all’interno degli appartamenti e dunque è necessario condurli sulla pubblica via con tali finalità nella consapevolezza che non sempre le autorità locali sono in grado di predisporre luoghi appositi ove detti animali possano espletare i loro bisogni fisiologici e comunque non può essere escluso che gli animali decidano (con tempi e modalità che, come detto, non è possibile inibire) di espletare tali bisogni altrove o prima del raggiungimento dei luoghi a ciò deputati. Se ne conclude, scrive la Cassazione, che Tizio poteva solo agire al fine di ridurre il più possibile il rischio che il proprio cane lordasse i beni di proprietà di terzi quali - come è tipicamente il caso - i muri di affaccio degli stabili od i mezzi di locomozione ivi parcheggiati. La possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa quindi imbrattare beni di proprietà di terzi è frutto di un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile. Ciò che si può quindi richiedere, scrive sempre la Cassazione a chi è necessitato a condurre un cane sulla pubblica via è solo un corretto governo di tale (inevitabile) rischio, governo realizzabile, ad esempio, attraverso la possibilità di una attenta vigilanza sul comportamenti dell’animale, attraverso la possibilità di limitarne la totale libertà di movimento (se nel caso tenendolo legato con un guinzaglio) o comunque intervenendo con atteggiamenti tali da farlo desistere - quantomeno nell’immediatezza - dall’azione. Il fatto che si verifichi un’azione come quella oggetto dell’imputazione che in questa sede ci occupa, in assenza di elementi che denotino una volontà di segno contrario, può quindi essere qualificato come attività di malgoverno del rischio stesso dipendente da disattenzione, sciatteria o più semplicemente da imperizia nella conduzione dell’animale, situazioni comunque riconducibili alla sfera della colpa ma non certo dei dolo (neppure nella forma del dolo eventuale). Il fatto che Tizio avesse con sé una bottiglietta di acqua denota una attenzione del conduttore dell’animale che purtroppo non è altrettanto diffusa come la buona educazione ed il rispetto del terzi imporrebbero che deve essere letta - come ha fatto il Tribunale - nel chiaro intento di questi di evitare (o quantomeno di annullare con un intervento immediato) il danno derivante al terzo proprietario dei muro dall’imbrattamento dello stesso. Per le ragioni indicate il ricorso del proprietario del palazzo imbrattato viene respinto. Naturalmente resta impregiudicata la possibilità per il ricorrente di adire il Giudice civile qualora sia in grado di dimostrare che la vicenda de qua gli ha provocato un danno per fatto colposo del soggetto agente. Di spunti interessanti in questa sentenza ve ne sono tanti che hanno nel caso concreto solo l’occasione o spunto per essere portati all’attenzione di tutti. Magari con un semplice passaparola. Filippo Portoghese Avvocato, portavoce di Animal Law Affinché il condominio non si trasformi in un ring Leggi e regolamenti Il lettore più attento potrebbe eccepire che si tratta di falsi problemi dal momento che la riforma del condominio ha introdotto il divieto (per i regolamenti condominiali) di vietare di possedere o detenere animali domestici. Invero nessuna delle situazioni che ho citato ricade sotto l’egida di questo divieto, ormai “annusato” come inevitabile considerata la sempre crescente sensibilità verso gli animali da parte della collettività (la legge è del 2012) tanto che il legislatore (la politica) non poteva ignorare questo segnale. Un segnale però debole, nonostante si voglia credere il contrario. Non ci credete? L’Italia è tra quei paese che da soli costituiscono più della metà del mercato europeo delle carni. Il maltrattamento degli animali nelle sue diverse forme è ancora attività assai praticata, da quelle non legalizzate a quelle legalizzate (circo, zoo, pesca caccia, sagre paesane, e tra queste il maltrattamento etologico e genetico). L’uccisione di animali con avvelenamento, a diverso titolo e ragione, resta pratica diffusa, a volte legalizzata da parlamenti regionali o comunali. Il randagismo, con quello che ne segue e per la gioia di alcuni, ancora non è stato debellato. L’abbandono di cani è ancora una triste vergogna. Il legislatore ogni volta che è stato chiamato a intervenire in favore degli animali ha evidenziato incertezze. E anche nella norma che avrebbe dovuto aprire le porte dei condomini agli animali sono individuabili incertezze che impegnano avvocati e giudici a fare ulteriore e definitiva chiarezza. Incapacità del legislatore? In particolare di affrancarsi da quell’antropocentrismo che permea il nostro diritto? Miopia legislativa? Anche, ma non solo. Certamente miopi i governi che si sono succeduti questi anni di repubblica. Ciò detto il legislatore ci vede e sente benissimo. Per una volta voglio però essere buono con i “politicanti” e prendermela con “noi” stessi. I destinatari delle leggi, perfette o perfettibili che siano. Sono persuaso che l’art. 1138 cc ultimo comma non ha (e non avrebbe potuto) diminuire la conflittualità condominiale. E infatti sono aumentate in maniera esponenziale le allergie da pelo di cane e gatto da parte dei condomini che non di rado si rendono responsabili di comportamenti discutibili. Alcuni banali esempi. Lasciare il pitbull libero sul pianerottolo costringendo l’anziana vicina a rimanere rintanata in casa. Lasciare che la pipì del cane defluisca sul balcone del vicino sottostante (fatto questo che non si giustifica per il solo fatto che proviamo un amore viscerale per tutti gli animali del creato). Perseverare a imbrattare le facciate o i muri perimetrali del condominio appena riverniciati con la pipì del nostro cane non è espressione di amore verso gli animali. Soprattutto se qualche condomino fa fatica a pagare le rate di mutuo per il rifacimento proprio di quelle facciate. La eventuale clausola di un regolamento che vieti ai singoli proprietari di usare l’ascensore con i propri animali domestici è legittima alla luce del 1138 ultimo comma? Oppure questa disposizione va interpretato anche come diritto all’uso delle parti comuni quindi con stretta correlazione tra proprietà comune e proprietà singola, in forza della quale quanto è vietato per la parte singola automaticamente debba esserlo anche per la parte comune? Soffermiamoci sul tema dell’abbaio del cane e le varie teorie. Il tema non è divisivo ma super divisivo. Il cane deve abbaiare perché è il suo unico modo di esprimersi. Il cane deve abbaiare ma vi è anche il diritto di una persona “umana” al riposo. Il cane non deve abbaiare e non sono previste vie di mezzo. Proviamo allora a trovarla questa via mediana, di compromesso Primo. Se un cane ha il diritto di abbaiare è anche vero che quell’abbaiare incessante potrebbe essere un campanello di allarme di qualcosa che non va per lo stesso cane. Secondo. L’abbaio magari incessante, giorno e notte, può creare problemi a chi ci abita vicino. Negheremmo forse che il continuo urlare del vicino ci crea un problema? Oppure che pur amando la musica sentire per otto ore al giorno il vicino emettere suoni, da qualsiasi fonte (radio, tv, pianoforte, violino, chitarra), può crearci qualche problema? Sforziamoci allora di concepire le norme come strumenti che ci consentono di intervenire a tutela sia di colui che è danneggiato dal rumore (oppure odore) sia dello stesso cane che crea il disturbo. E soprattutto convinciamoci che non esistono diritti assoluti o illimitati. Il diritto è e rimane un compromesso tra due o più esigenze. Non poche volte opposte. Ogni diritto ha il limite di un altro diritto e del diritto di un altro. Dobbiamo raggiungere, soprattutto in ambito condominiale, un contemperamento di diversi interessi. Di chi vive con un animale e di chi, per mille motivi, ha magari scelto di non vivere con un animale. Ecco che fatte queste premesse si coglie forse il senso dell’art.844 del codice civile per cui il proprietario deve sopportare i rumori provenienti dalla casa del vicino a patto che non superino la normale tollerabilità. Come anche dell’art. 659 del codice penale per cui se non impedisco che il mio cane disturbi il riposo delle persone vado soggetto ad una ammenda di 309 euro e finanche con l’arresto fino a tre mesi. Entrambe queste sanzioni, bilanciate con l’art. 1138 ultimo comma, ne giustificano una sua restrizione o limitazione senza che venga inficiata la ratio che è alla base del divieto di negare la possibilità di possedere o detenere animali all’interno di un condominio. Ratio che esprime una nuova concezione del rapporto uomo-animale e che è espressione dei più generali diritti inviolabili di cui all'articolo 2 della Costituzione. Filippo Portoghese Avvocato, portavoce di Animal Law Maiali da compagnia o d’affezione Per evitare di incorrere in spiacevoli situazioni negative è bene ricapitolare lo stato delle cose. In Italia, e in Europa, non esiste una legislazione appropriata per identificare gli animali che escono dal circuito zootecnico e sono salvati dalla macellazione. Così pure non è normata l’eventuale vendita di maiali nani per compagnia o affetto. Cosa si intende per animale da compagnia? La Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia elaborata a Strasburgo il 13 novembre 1987 all’articolo 1, Definizioni, recita “Per animale da compagnia si intende ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall’uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia”. Non ponendo delle limitazioni di specie è evidente che qualsiasi animali potrebbe rientrare nell’ambito di animale da compagnia, tuttavia la Convenzione non ha validità legislativa per cui l’autorizzazione per il mantenimento degli animali risponde alle leggi nazionali. In Italia, come detto, non esiste una legislazione inerente per il mantenimento di animali diversi dalle specie che da sempre convivono in famiglia con modalità varie, ricordiamo oltre ai cani e ai gatti, uccelli, pesci ma anche rettili (tartarughe e afidi, per quanto rari). In Piemonte è stata proposta una legge per demandare al Parlamento la regolamentazione dei Rifugi per animali domestici sottratti al circuito della macellazione, ma al momento permane il buco legislativo. Quindi per quanto riguarda il recupero di animali da reddito, quali sono per legge i maialini nani, si devono fare alcune valutazioni a iniziare dal primo momento dell’acquisizione. La provenienza può essere o una fiera che ha come premio l’animale o la volontà di “salvare” l’animale da una situazione che pare negativa ma potrebbe pure essere la conseguenza di un acquisto voluto. Poiché si tratta di animali considerati zootecnici, lo spostamento andrebbe sempre dichiarato al Servizio veterinario, fatto che non è quasi mai possibile poiché l’animale dovrebbe essere identificato e registrato all’anagrafe e la destinazione dovrebbe essere preventivamente autorizzata dall’Asl responsabile territorialmente, che dovrebbe aver formalizzato la destinazione come “stalla” regolarmente registrata. In tutte le ipotesi fatte si comprende che non si segue la prassi ufficiale. Vi è da sottolineare che spesso la condizione negativa, definita come “maltrattamento” da chi salva l’animale, purtroppo non ha riscontri ufficiali perché anche se il giudizio delle persone molto probabilmente è corretto, la negatività e il maltrattamento sono situazioni che devono essere affermate da un Medico veterinario. Ciò per dire che non è scusante la condizione precedente di mantenimento per giustificare l’acquisizione dell’animale. A questo punto il maialino è ufficialmente un irregolare che però è bene che sia regolarizzato per non incorrere in problemi di sequestro o altre sanzioni. Ci sono degli atti formali che non possono essere evitati, il primo dei quali è l’identificazione e l’analisi sierologica di assenza delle malattie poste sotto prevenzione sanitaria veterinaria. A questo punto è fondamentale istituire una “trattativa” con il Servizio veterinario, sapendo che si deve ottenere uno status che non è previsto dalle leggi. In primo luogo si può sottolineare che, seppure non abbia valore legislativo, la Convenzione europea non mette barriere di specie per la definizione di animale da compagnia. Si può citare anche una Circolare della Regione Lombardia (Protocollo H1.2015.0030421 del 0/10/2015), l’unica nel suo genere, che ha definito come tali quegli animali zootecnici che siano posti sotto sequestro in base alla legge 189/04 “maltrattamento”. Solitamente si arriva ad una forma di modus vivendi per cui il maiale è identificato e registrato se davvero le condizioni di mantenimento sono accettabili, fermo restando che si tratta di una forma di concessione poiché non esiste una legge che possa giustificare la presenza di un maiale, seppure di razza nana, in un contesto diverso da una stalla. Certamente l’ambiente ha il suo valore, la possibilità di fruire di un ambito esterno, ad esempio, di fatto equipara il maiale ad un cane di grande taglia per il quale non ci sono restrizioni. Diverso è il caso di presenza in un alloggio, nel quale non è proprio consigliabile, soprattutto per il bene dell’animale. Sia in un appartamento sia in un cortile o spazio aperto si deve ricordare che gli animali hanno una propria etologia e, se vogliamo farli vivere bene, è necessario rispettarla. Certo negli allevamenti le condizioni sono pessime, ma, per offrire un beneficio, si deve andare incontro ai loro bisogni. I maiali nani sono animali sociali che soffrono la mancanza di vita in comune con altri simili e la mancanza provoca stress e quindi sofferenza. Si sono constatati casi in cui il suino da solo cade in depressione, fino a non alimentarsi oppure al contrario ad eccedere nel cibo sino a non muoversi più; è il segnale che ci lancia a comunicarci che la nostra opera di bene non è completa poiché non siamo riusciti a soddisfare i suoi bisogni. In conclusione si può osservare che acquisire un maialino nano è una decisione che deve essere presa con ponderazione, sapendo che si affronta una situazione che non è legiferata per cui si dovranno affrontare delle problematiche di regolarizzazione ma anche si deve sapere che è necessario fornire un ambiente che ne rispetti l’etologia poiché, in caso contrario, pur volendo fare del bene si creano i presupposti per stress e quindi sofferenza. Enrico Moriconi Medico veterinario, Garante Diritti Animali Regione Piemonte |