Animalismo

Perché negare l’anima agli animali?

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04 Marzo 2011


“Che vergogna, che miseria aver detto che le bestie sono macchine prive di conoscenza e sentimento. Quell’uccello che fa il suo nido a semicerchio quando lo attacca a un muro, che lo fa a un quarto di cerchio se lo mette in un angolo, e a cerchio intero intorno a un ramo, quell’uccello compie tutti i suoi atti sempre allo stesso modo?”  Voltaire


Affrontare il tema dell’intelligenza degli animali significa addentrarsi in un terreno minato in cui è facile imbattersi in incoerenze, malintesi, disquisizioni filosofiche, fino a scontrarsi con veri e propri tabù.

Se il rapporto fra razze diverse della specie umana ha sempre generato nella storia dell’uomo conflitti e oppressioni, immaginiamo quanto sia difficile affrontare la tematica del rapporto tra specie diverse. Ogniqualvolta si affronta l’argomento, occorre prepararsi alle inevitabili reazioni scandalizzate e a volte violente di chi segue un luogo comune secondo cui è considerato normale convivere sullo stesso pianeta con altre specie ridotte in schavitù dall’uomo, incontrastato dominatore, e usate come riserve di cibo, come cavie, come giocattoli per i rampolli della specie umana.

Anche se sono stati fatti passi da gigante sul tema della tutela dei diritti degli animali, non viene tuttavia riconosciuto loro lo stato di persona. Non viene considerata la loro cultura, non ci si pone domande sulla loro filosofia di vita.

Secondo la legge approvata nel 2004  (art. 544-bis del codice penale), “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi”, mentre “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro”.

Tuttavia la legge ha perso la sua vera caratteristica rivoluzionaria, ossia quella che riconosceva per la prima volta agli animali un vero e proprio status giuridico di esseri senzienti. Nella originaria formulazione, vi era la proposta di introdurre nel codice penale un nuovo Titolo, rubricato come "Dei delitti contro la vita e l'incolumità degli animali", introducendo una vera e propria rivoluzione rispetto alla situazione odierna, dove il maltrattamento degli animali è punito non perché lesivo del bene giuridico "vita" o "incolumità" dell'animale, ma perché offensivo di quel comune senso di pietà che si presume abbia chi assiste ad un'azione di incrudelimento sugli stessi.

Il nuovo Titolo è diventato: "Dei delitti contro i sentimenti verso gli animali", così identificando ancora una volta negli uomini, e non negli animali, i soggetti passivi del reato.

Oggi i diritti degli animali sono un tema molto sentito da chiunque abbia un minimo di sensibilità, eppure non sono molti coloro che si pongono il problema della tutela dei loro diritti culturali e, men che meno, spirituali.

L’articolo 9 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale, approvata dall’UNESCO nel 1978,  recita:  “Nel caso che l'animale sia allevato per l'alimentazione deve essere nutrito, alloggiato, trasportato e ucciso senza che per lui ne risulti ansietà e dolore”.

Sono piccoli passi verso una diminuzione della sofferenza e della tortura, ma sottolineano uno stato di fatto: l’uomo ha il diritto di usare gli animali per cibarsi.

Anche se l’alimentazione vegetariana risulta essere ormai considerata come un valido mezzo di prevenzione di molte malattie degenerative, ed è seguita da milioni di persone, l’uso degli animali come riserva di cibo è purtroppo ancora molto diffuso, contro ogni logica salutare e ambientale. E’ noto infatti che l'allevamento su vasta scala, sia di tipo intensivo (in grosse stalle senza terra dove gli animali sono stipati, come accade in Italia), sia di tipo estensivo (i grandi ranch degli Stati Uniti, o i pascoli nei paesi del Sud del mondo) è chiaramente insostenibile dal punto di vista ecologico. Ormai, la metà delle terre fertili del pianeta viene usata per coltivare cereali, semi oleosi, foraggi, proteaginose, destinati agli animali. Per far fronte a questa immensa domanda si distruggono ogni anno migliaia di ettari di foresta pluviale, il polmone verde del pianeta, per far spazio a nuovi pascoli o a nuovi terreni da coltivare per gli animali, che in breve tempo si desertificano.

Altra incoerenza sul tema dei diritti animali è rappresentata dalla caccia: secondo i sondaggi, il 90% degli italiani è contrario alla caccia. Eppure i cacciatori continuano a seminare morte e distruzione. Viviamo in un Paese ostaggio dei cacciatori?

Le battaglie animaliste hanno ottenuti grandi progressi, eppure sono ancora molti coloro che vanno ad assistere agli spettacoli dei circhi con gli animali, portandovi i bambini. Come ci si può divertire assistendo all’umiliazione di esseri costretti tramite tortura ad esibirsi in numeri che vanno contro la loro natura? La circense Liana Orfei afferma che le foche "possono essere ammaestrate solo per fame e non si possono picchiare perché la loro pelle, essendo bagnata, è delicatissima”. Per stravolgere completamente l'istinto di un animale, si deve necessariamente ricorrere alla violenza: per far alzare alternativamente le zampe ad un orso si ricorre a piastre e pungoli elettrici (nel passato a braci ardenti), per far "sorridere" un pony lo si punge ripetutamente sul muso con uno spillone, in modo che durante lo spettacolo si ricordi il dolore ed esegua l'esercizio. Eppure molti genitori insegnano ai loro bambini a ridere davanti a queste torture.

Come si può rimanere insensibili davanti alle vetrine delle macellerie che espongono esseri squartati? E davanti ai negozi di animali che esibiscono gli schiavi del terzo millennio, come fosse espressione di una normale civiltà? Per non parlare dello spettacolo agghiacciante delle aragoste vive, esposte nei supermercati e nei ristoranti, con le chele legate, pronte per essere bollite vive.

Questa situazione, considerata normale, permette alla maggior parte delle persone di vivere in pace con la propria coscienza mentre contribuiscono, con il loro silenzio-assenso, al progresso di una società che autorizza la schiavitù e che sottopone le specie schiavizzate ad ogni sorta di maltrattamento, tortura, umiliazione, usandole come riserve di cibo, come cavie per la sperimentazione medica, come giocattoli animati.

E proprio come ai tempi dei romani, gli schiavi di oggi possono solo sperare di trovare un padrone sensibile che si affezioni a loro e che abbia pietà della loro condizione di inferiorità.

Ma com’è possibile che in una società civile gli animali si trovino in questa situazione? Perché agli animali non viene riconosciuto un rapporto di parità?  Per via della loro presunta inferiorità intellettuale, o perché l’uomo deve essere il dominatore riconosciuto e incontrastato del pianeta? Su quali basi la specie umana giustifica la totale sottomissione delle altre specie?

Sulla presunta inferiorità delle altre specie ci sarebbe molto da dire e da obiettare, ma in ogni caso, anche se per assurdo accettassimo questo assioma, il fatto che qualcuno non sia membro della nostra specie non ci autorizza a sfruttarlo, e analogamente, una presunta inferiorità intellettuale non dovrebbe portare alla violazione del diritto ad una vita decorosa. Se accettiamo il principio dello sfruttamento di esseri intellettualmente meno evoluti, ci inoltriamo su un sentiero molto pericoloso che potrebbe indurci, un domani, ad usare come cavie gli handicappati, le persone in coma, i bambini.

L’atteggiamento etico che porta allo sfruttamento degli animali da parte dell’uomo viene avallato dalla religione di stato, che nella Bibbia trova precisi riferimenti in merito. Nella Genesi l’uomo è visto come dominatore indiscusso di tutto il creato: “Facciamo l’uomo / a nostra immagine e somiglianza / e domini sui pesci del mare / e sugli uccelli del cielo, / sul bestiame, / su tutte le bestie selvatiche / e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (1,26). E ancora: “Siate fecondi e moltiplicatevi, / riempite la terra; soggiogatela / e dominate sui pesci del mare / e sugli uccelli del cielo / e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra” (1,28). Sempre dalla Genesi (9,2-3) traspare molto chiaramente una precisa filosofia che induce l’uomo a staccarsi nettamente da tutto ciò che lo circonda, per poterlo sfruttare a suo vantaggio: “Il timore e il terrore di voi / sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame / e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare / sono messi in vostro potere”. “Quanto si muove e ha vita / vi servirà di cibo; / vi do tutto questo, come già le verdi erbe.”

Questa filosofia fa pronunciare ad uomini di chiesa, nel passato e nel presente, frasi che possono essere prese a riferimento per giustificare qualsiasi nefandezza verso le altre specie, come questa affermazione di Tommaso d’Acquino: “Non è peccato per l’uomo l’uccidere gli animali, poiché la divina provvidenza li ha dati ad uso dell’uomo nell’ordine naturale, onde l’uomo se ne serva senza colpa, uccidendoli o adoperandoli in altra maniera”.

Questa filosofia aberrante e in contrasto con qualsiasi pretesa di civiltà ed evoluzione non esiste al di fuori del contesto delle grandi religioni storiche. Nelle filosofie dei Popoli naturali, l’uomo non è il dominatore del pianeta, ma è colui che lo abita insieme alle altre specie. Queste tradizioni considerano l’uomo, gli animali, il pianeta stesso, affratellati da una stessa esperienza, uniti da uno stesso Mistero: una visione condivisa da tutte le culture dei nativi del pianeta, dai Celti ai Nativi americani.

Nella nostra società, l’idea degli animali visti come specie inferiore nasce dal presupposto che essi non pensino, non ragionino, siano privi di autoconsapevolezza. Il filosofo Renè Descartes afferma che gli animali sono macchine perché non sono in grado di parlare. Tralasciando la difficile disquisizione sulla consapevolezza degli animali rispetto a quella umana, è un dato di fatto che gli animali, al pari degli uomini, provino dolore e piacere e siano in grado di provare emozioni. Chiunque abbia avuto l’occasione di coabitare con un cosiddetto animale domestico non avrà il minimo dubbio in proposito.

Peter Singer, padre del moderno animalismo, nel suo saggio “Animal Liberation” (1975) che diede vita al Movimento per la Liberazione Animale, sostiene: “Se un essere soffre non può esserci giustificazione morale per rifiutare di prendere in considerazione tale sofferenza. Quale che sia la natura dell’essere, il principio di uguaglianza richiede che la sua sofferenza conti quanto l’analoga sofferenza di ogni altro essere”.

Ma il problema degli animali non è una questione recente: fin dall’antichità questo tema ha creato fazioni pro o contro e suscitato dibattiti filosofici anche feroci. Animalisti ante-litteram si sono pronunciati con affermazioni accorate, come il filosofo Jeremy Bentham che nel 1789 profetizzò: “Verrà il giorno in cui il resto degli esseri animali potrà acquisire quei diritti che mai avrebbero dovuto essere negati dalla mano della tirannia”. Gandhi affermò che “la grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.”

Voltaire dà una lezione di civiltà a Descartes rispondendo così alle sue affermazioni: “Che vergogna, che miseria aver detto che le bestie sono macchine prive di conoscenza e sentimento. Quell’uccello che fa il suo nido a semicerchio quando lo attacca a un muro, che lo fa a un quarto di cerchio se lo mette in un angolo, e a cerchio intero intorno a un ramo, quell’uccello compie tutti i suoi atti sempre allo stesso modo?” In ogni tempo sono esistiti uomini che si sono ribellati all’orrore di considerare normale uccidere e cibarsi di altri esseri viventi. Andando indietro nel tempo scopriamo che Pitagora e i pitagorici erano vegetariani, così come molti altri filosofi del tempo.

Leggendo le parole di Plutarco, vecchie di duemila anni, ci scopriamo affratellati a lui e si rafforza in noi la convinzione che chi ama e difende gli animali possiede una ricchezza interiore che compensa le difficoltà di questa lotta impari. Scrive Plutarco: “Tu mi domandi per qual ragione s’astenesse Pitagora dal mangiar carne: ed io d’altra parte mi meraviglio con quale affetto, con qual pensiero od argomento ardì il primo fra gli uomini insanguinarsi la bocca, appressarsi alle labbra la carne del morto animale, ponendosi avanti i serviti, le vivande e il cibo di corpi uccisi, ed immagini, e per dir più oltre le membra che poco avanti belavano, mugghiavano, andavano e vedevano? Come potero soffrire gli occhi di scorgere l’uccisione degli animali scannati, scorticati, e smembrati? E l’odorato come soffrì l’odore? E il gusto come non ebbe in orrore la lordura delle piaghe altrui, e il sangue, e la marcia delle ferite mortali?”.

Il difficile problema della convivenza con le altre specie non può essere affrontato solo dal punto di vista della difesa del loro diritto alla vita. Non riusciremo mai a tutelare veramente gli animali  se non ci porremo il problema del diritto alla loro cultura e identità morale. Chi è realmente il “gatto” di casa? Chi è il nostro cane, al di là dell’identità che ci mostra per assecondarci? Molti amanti degli animali portano tranquillamente il loro amato animale dal veterinario per sterilizzarlo con una mutilazione che gli impedirà di svolgere le sue normali funzioni sessuali. E’ considerato “normale”, anzi “necessario”. I veterinari sanno che esistono metodi di sterilizzazione che lasciano intatta l’attività sessuale, eppure li sconsigliano, senza nessun motivo logico. Perchè? Forse perchè gli animali non hanno bisogno di avere rapporti sessuali non finalizzati alla riproduzione? Un animale privato di questa funzione, inevitabilmente subirà un declassamento nella sua comunità. Ma questo aspetto non viene considerato, poichè non gli viene riconosciuto uno status sociale.

Altri “amanti degli animali” sottopongono il loro amico a quattro zampe al taglio o all’amputazione della coda o delle orecchie, per renderlo “più bello”. E che dire della consuetudine di smembrare le famiglie togliendo i cuccioli appena nati dalle loro mamme per sistemarli altrove? Non ci si chiede quale tipo di trauma subiranno sia la mamma che i cuccioli?

Agli animali non viene riconosciuta una identità morale, né sociale, né culturale, né tantomeno spirituale. Nonostante siano molte le prove della loro intelligenza e acutezza, dei loro riti sociali, delle loro espressioni artistiche, la loro presenza nelle nostre case e nelle nostre vite viene spesso considerata un optional, non certo la presenza di una persona con cui confrontarsi e da cui, anche, imparare qualcosa.

Finchè non affronteremo il problema degli animali da un nuovo punto di vista, ossia non accetteremo un confronto culturale e morale con essi, visti come persone con una identità diversa dalla nostra, non riusciremo davvero ad aiutarli ad avere un posto nella nostra società. E noi umani, fino a quel momento, non potremo essere molto fieri di noi.



 

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