Animalismo |
Perché essere vegetariani non basta |
20 Luglio 2017 | ||||||||||
Come possiamo accettare che il cibo che troviamo in tavola sia il risultato di atroci sofferenze ai danni di esseri senzienti in grado di provare gioia e dolore come noi?
Ogni anno 170 miliardi di animali vengono uccisi a scopo alimentare. Mezzo miliardo di animali ogni giorno, oltre 5.390 animali al secondo. Nel periodo di tempo che avete impiegato per leggere queste parole ne sono già state ammazzate decine di migliaia. Molte persone, prendendo coscienza della situazione di sofferenza in cui versano gli animali, decidono di diventare vegetariani. Ma sia che la scelta sia motivata da ragioni salutistiche o ambientali, sia da ragioni etiche, essere vegetariani non risolve il problema. Non lo risolve sul piano della salute e men che meno sul piano etico. La produzione di carne e quella di latte sono strettamente collegate: l’una può essere considerata il sottoprodotto dell’altra. Gli effetti sulla salute di un aumentato consumo di latte e latticini sono simili a quelli provocati da un aumento del consumo di altri prodotti animali, come la carne e lo strutto. Oggi sono ormai disponibili evidenze scientifiche del fatto che i latticini non portano alcun beneficio che non sia ottenibile in modo migliore da altre fonti, e che il loro consumo pone seri rischi che contribuiscono alla mortalità. Secondo il fisico nutrizionista americano Walter Willett, bere tre bicchieri di latte al giorno equivale a mangiare dodici fette di pancetta oppure un Big Mac e una porzione di patatine fritte. Sul piano etico, chi ha fatto la coraggiosa scelta in favore dell’alimentazione vegetariana sappia che mangiare latticini e uova significa comunque sostenere gli allevamenti intensivi, con tutta la sofferenza che essi comportano per gli animali. Le mucche “da latte” sono selezionate geneticamente ed inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall’età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri (provocando in entrambi un trauma), perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in minuscoli box larghi poche decine di centimetri, in cui non hanno nemmeno lo spazio per coricarsi, e quindi neanche la possibilità di dormire profondamente. Sono alimentati con una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al macello. La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l’ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle).
Per aumentare la produzione di latte, la mucca è alimentata con proteine molto concentrate, ma neppure queste spesso sono sufficienti, tanto da provocare lacerazione dei tessuti per soddisfare la continua richiesta di latte. Questo provoca una condizione chiamata acidosi, che può rendere zoppo l’animale e ciò accade ogni anno al 25% delle mucche sfruttate nei caseifici. A circa cinque o sei anni d’età, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata. La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni. Alle galline non è destinata una sorte migliore. Per la produzione di uova, le galline sono costrette a vivere (fino a gruppi di quattro) in gabbie delle dimensioni di un foglio A3. Le loro ali si atrofizzano a causa dell’immobilità forzata; crescendo a contatto della griglia di ferro della pavimentazione, le loro zampe crescono deformi. Per aumentare il profitto, molti allevatori usano razze manipolate geneticamente, destinate a soffrire ulteriormente, a causa di dolorosi disturbi ossei e difetti della spina dorsale. Negli allevamenti che producono galline ovaiole, i pulcini maschi (inutili al mercato in quanto non in grado di produrre uova, né adatti alla produzione di carne di pollo) sono gettati vivi in un tritacarne, o soffocati in buste di plastica, o schiacciati in apposite macchine per diventare mangime, mentre a quelli femmina viene tagliato il becco per impedire loro di beccare a morte le compagne. Questa procedura, che comporta il taglio di tessuti teneri simili alla carne che gli umani hanno sotto le unghie, è così dolorosa che molti pulcini muoiono per lo shock. Inoltre, questa operazione lascia spesso scoperti i terminali nervosi presenti nel becco, determinando così un dolore continuo per tutta la vita dell’animale. Potremmo andare avanti ancora con questo racconto horror, peccato che non sia un racconto ma la pura realtà. Qual è la differenza tra vegetariani e un vegani? I primi hanno fatto una scelta in favore degli animali, ma non hanno ancora preso coscienza della situazione reale. I secondi sono persone che vengono dal futuro e creano uno squarcio che mostra quello che sarà inevitabilmente il mondo tra un secolo, speriamo anche meno. Spesso sento dire, dagli stessi vegetariani, che i vegani sono fissati, e la cosa curiosa è che fanno gli stessi discorsi che i carnivori fanno ai vegetariani. “Sei fissato”, “la tua è una religione”, “non si può vivere senza latticini”, “le mucche negli allevamenti stanno benissimo”, e così via. C’è da dire che anche il formaggio, così come la carne, crea dipendenza, e pertanto chi è sotto l’effetto di questa droga troverà tutti gli appigli per non doverne fare a meno, arrampicandosi sui vetri con le scuse più assurde. Ma al di là delle etichette, non mangiare animali né i loro derivati significa partecipare ad una rivoluzione. Se si aprono gli occhi, è impossibile non vedere un mondo assurdo, inconcepibile, attraversato da vibrazioni di sofferenza che permeano tutto il pianeta. È impossibile tollerare che miliardi (miliardi!) di nostri simili, dotati come noi di intelligenza e consapevolezza, siano non solo massacrati e torturati, ma allevati e fabbricati apposta per questo. Nemmeno nei periodi più bui e oscurantisti della storia dell’umanità si era arrivati ad un tale abominio. Chi non vuole aprire gli occhi farà sempre finta di non vedere, diventando complice di questo sterminio di massa. Chi invece si risveglia dall’ipnosi che vuol far credere che tutto questo sia normale, vedrà il mondo per quello che è, e come nel film Matrix, non potrà più dimenticarlo.
E allora avrà solo due opzioni: far finta di niente e accettare le regole di questo mondo schifoso, condannandosi ad essere anch’egli un essere schifoso, sapendo di esserlo, o cercare di cambiare il mondo e partecipare a una rivoluzione pacifica ma inarrestabile. Dubbi vegani Chi adotta l’alimentazione vegana si trova spesso a dover fronteggiare tutta una serie di quesiti, obiezioni, domande inquisitorie poste dai carnivori. E questo a volte può far venire dei dubbi sulla scelta fatta. Stranamente, è molto raro che succeda il contrario, ossia che chi ha scelto l’alimentazione vegana si ponga di fronte ai carnivori che incontra chiedendogli ragione della loro scelta alimentare. A meno che non siano degli estremisti missionari, come ce ne sono in tutti gli ambiti, i quali non solo ottengono l’effetto contrario, ma creano diffidenza verso tutta la categoria. Questo rivela come la società maggioritaria possa far sentire “diversi” coloro che non seguono la massa e non si adeguano alle ideologie che provocano uno stato di disequilibrio planetario, mentre fanno sentire “normali” coloro che contribuiscono a questo scempio mantenendo le grandi catene di distribuzione basate essenzialmente sugli allevamenti intensivi e quindi contribuendo alla carneficina di animali uccisi a miliardi ogni giorno, nonché alla deforestazione e all’inquinamento ambientale. Ma torniamo alle domande più frequenti che i vegani si sentono porre. La più gettonata, supportata anche dall’attuale papa: “perché pensare agli animali quando ci sono tanti uomini che soffrono?”. È facile rispondere. Di solito chi è sensibile verso gli animali lo è anche verso gli umani. L’attenzione verso gli animali, i più deboli fra i deboli, non corrisponde a indifferenza verso il genere umano, è vero il contrario. Il rapporto con gli animali addolcisce, rende morbidi e più attenti alla sofferenza in genere. Questa domanda è spesso posta da persone che non fanno nulla né per gli animali né per gli uomini. Chi davvero è sensibile alla sofferenza non fa distinzioni o graduatorie. Altra obiezione: “l’uomo è nato carnivoro, tant’è che ha i canini”. In effetti abbiamo due piccoli canini come tutti gli erbivori, che sono fondamentali per mangiare certi tipi di alimenti vegetali. Chi dice che i canini dimostrano che dobbiamo mangiare carne si dimentica che con i nostri canini non possiamo certo azzannare né sbranare alcun tipo di animale. La carne viene cotta per ammorbidirla e viene frollata, che è poi l’inizio della decomposizione. Questo ammorbidisce la carne che finisce nel piatto, che altrimenti non sarebbe possibile mangiare con i nostri piccoli canini. Secondo gli studi che sono stati fatti dagli antropologi proprio sui denti fossili, gli antenati umani, in origine, non erano mangiatori di carne né erano onnivori. I loro denti invece sembrano mostrare le tipiche caratteristiche di chi si nutriva di una dieta essenzialmente a base di frutta. Del resto, a conferma di questa tesi, il tratto intestinale dell’animale umano è lungo sei volte di più di carnivori ed onnivori. Nel lungo tratto intestinale umano la carne va in putrefazione e produce tossine dannose.
Anche qui, chi fa questo tipo di obiezione cerca solo una scusa per non rinunciare alla carne che, si sa, crea assuefazione in chi la consuma. Anche se fosse dimostrato che i canini rivelano che l’uomo è una creatura onnivora (cosa che non è), allora dovremmo ritornare all’età della pietra? In certi momenti storici si è praticato anche il cannibalismo. Adottiamo anche quello? Ci sono molte cose innaturali che oggi facciamo, come usare il cellulare, curarci con la chirurgia, portare gli occhiali… e allora? Cosa dimostra questo? Che non viviamo in modo “naturale”? In definitiva, qual è il modello da adottare? Il discorso porta lontano, ed è un tema che molti usano in maniera demagogica per difendere la caccia, i circhi con animali, ecc. Un’altra critica, anche questa molto gettonata: “non mangi la carne, ma non pensi alla sofferenza delle piante?”. Questa contestazione è di “lana caprina” ed è facile cadere in preda a dubbi. La risposta “preferisco salvare gli animali piuttosto che le piante” non mi trova d’accordo, perché gli studi hanno dimostrato che anche le piante soffrono, e molti esperimenti condotti sui vegetali hanno rivelato che sono dotati di intelligenza e sono in grado di comunicare tra loro e con gli uomini. Addirittura è stato provato che hanno un ciclo di sonno-veglia, come gli umani e gli animali. Quindi questo sembrerebbe un punto debole dell’alimentazione vegana. Ma se approfondiamo l’argomento ci accorgeremo che non è proprio così. Si può constatare come le piante, le più antiche forme di vita del pianeta, abbiano una diversa sensibilità fisiologica dai mammiferi e si siano adattate avendo a che fare con i predatori e rilasciando parti del loro insieme non danneggiando irreversibilmente la pianta. Se si coglie un frutto o se si coglie della verdura senza danneggiarne le radici, la pianta in questione sopravvive e continua a vivere ricrescendo e riproducendosi. Le piante si sono strutturate per sopravvivere ai predatori e addirittura, nutrendosi dei loro frutti, si contribuisce alla loro sopravvivenza planetaria portando le sementi su tutto il pianeta. Se si vuole arrecare loro il minor danno possibile ci si può orientare verso le sementi, come i fagioli, la soia o il lupino. Oppure verso la raccolta di frutti. E in ogni caso si deve evitare di danneggiarne le radici, che secondo le antiche tradizioni sono la sede del cervello e della profonda sensibilità di ciascuna pianta. Ma anche questa obiezione che viene fatta ai vegani è pretestuosa: chi fa questa domanda non si preoccupa davvero delle piante, perché di solito i carnivori si nutrono sia di carne sia di vegetali. Altra domanda frequente: “ma se galline e mucche sono tenute libere, qual è il problema nel mangiare uova e latticini?”. Il discorso è complesso e lo si può affrontare da più punti di vista. Innanzitutto c’è un problema etico. Dobbiamo considerare che non siamo gli unici esseri senzienti sul pianeta, ma siamo tutti figli di Madre Terra, e che anche le altre specie sono dotate di intelligenza. Lo specismo ci fa considerare “normale” sfruttare gli animali perché non sono della nostra specie, ma questa è un’ottica egoistica basata sull’antropocentrismo. Qual è il problema se si consumano uova e latte provenienti da animali liberi e trattati bene? Prima di tutto chi ha galline e mucche, anche se tenute libere, non è credibile che non le ammazzi per mangiarsele. C’è chi assicura che non farà mai del male alle galline che alleva, ma è difficile crederci, perché quando le galline smettono di produrre le uova, non verranno tenute in vita, e con molta probabilità verranno uccise. Inoltre, quelle galline da dove arrivano? Vengono comprate, e per ogni pulcino femmina che viene venduto come gallina ovaiola c’è un pulcino maschio che invece viene ucciso appena nato perché “inutile”.
Ma mettiamo il caso più unico che raro in cui questo non si verifichi e le galline siano salvate dagli allevamenti: in quel caso le galline sono ospiti a cui si è salvata la vita, e si potrebbe pensare che se fanno le uova non c’è nulla di male nel mangiarle. Invece, privandole delle uova, si danneggia la loro salute perché in caso contrario le covano e anche se non nasce il pulcino (perché ovviamente non sono fecondate) comunque non ne producono altre. Mentre se gliele si toglie continuano a produrne e questo fa esaurire le loro riserve di calcio sottoponendole a osteoporosi, fratture ossee ed altri disturbi. Infatti spesso succede che le galline libere nascondano le loro uova affinché non vengano sottratte. Passiamo alle mucche. La mucca per dare latte deve per forza partorire, e il latte che produce serve a nutrire il suo vitello. Quindi, se anche la mucca fosse stata adottata incinta, solo per salvarla, il suo latte va a suo figlio, e non agli umani. In tutti i casi “normali”, invece, il vitello viene venduto per essere macellato, la mucca per produrre latte deve essere ingravidata ogni anno e quando non serve più viene macellata. Realisticamente, non esiste nessun caso in cui si possa produrre latte per il consumo umano senza uccidere animali. Bisogna anche considerare un discorso salutistico: è documentato che le uova possono danneggiare il cuore a causa del colesterolo in esse contenuto o il fegato e possono trasmettere la salmonella. Per quanto riguarda il latte, quello della donna fa bene al neonato, quello della mucca fa bene ai vitelli. Ci sono innumerevoli studi che dimostrano i danni del latte vaccino sugli umani. Ci sono poi le obiezioni riguardanti il cibo vegano: “ma non sa di niente!”, “ma come fai ad avere tutte le vitamine necessarie?”. Queste obiezioni derivano solamente da una scarsa informazione, poiché è facilissimo documentarsi sui benefici e sulle proprietà della verdura, della frutta e dei legumi. Inoltre il sempre più crescente numero di ristoranti vegani dimostra come si può gustare un menù gustosissimo e ricco, senza rimpiangere carne o latticini. In conclusione, appare evidente che ci sono due forme mentis opposte l’una all’altra: chi cerca di mantenere uno status quo, anche in buona fede, rendendosi complice senza rendersene conto di un massacro planetario che ogni giorno fa miliardi di vittime, e chi sembra provenire dal futuro. Infatti il futuro, se vogliamo che ESISTA un futuro, dovrà per forza essere vegano. Gli allevamenti intensivi massacrano gli animali, provocano il cancro nelle persone e distruggono il pianeta essendo la maggior causa di inquinamento. Questo deve farci riflettere sul nostro ruolo di animali umani, che a forza di considerarci dominatori di tutto il creato finiremo, se non prenderemo provvedimenti, con il distruggerci, distruggendo la nostra Madre Terra e tutti i suoi abitanti. |