Animalismo

Veglia funebre o tintarella di luna?

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22 Gennaio 2015

Una lunga notte di vigilanza: il racconto di una “tranquilla” nottata di chi tutela gli animali e l’ambiente


Mentre pattino al buio sulla neve gelata del Queyras, il mormorio del torrente, il riflesso dei cristalli di brina sui larici alla luce della pila frontale, mi fanno venire voglia di scrivere di una lunga notte di vigilanza. Poi sbuca dal bosco un capriolo, allora penso che pagherei cento euro per vedere un lupo, e poco dopo… risparmio: è solo una volpe.


Abries

Una giornata lunga e intensa. Sabato di fine dicembre, ultimo giorno di caccia al cervo, chi non lo prende oggi resta a bocca asciutta. Giornata tranquilla; col mio gruppo di Guardie ecologiche volontarie facciamo alcuni controlli, nulla più.

Dopo il frugale pranzo sul balcone di una baita su un poggio soleggiato, ma il sole è pallido e non scalda a sufficienza, urge camminare un po’.

Alle quindici mi telefona Clara, è la migliore nella vigilanza, acuta e decisa con volontà da vendere. A seconda dei giorni la chiamano Claretta, o bertuccia, o ortica, o pit-bull delle nevi. Lei e Laki sono a Serre la Croce, ci sono tre auto parcheggiate e uno strano movimento di cacciatori o presunti tali; chiede il nostro intervento perché la situazione sembra movimentata.

Li raggiungiamo alle sedici, al Lubè per non essere in vista, saliremo poi a piedi; all’auto lasciamo Zagor, che sa sbrigarsela in ogni occasione; zia Levry e Daino, io e Pop saliamo a Serre la Croce. Arriviamo che il sole tramonta.

Clà è piazzata e tiene d’occhio il sentiero e la pista forestale, Laki è andato a togliere l’auto perché mi dice alla radio che due vedette erano in irrequieta attesa e ora vanno su e giù.

Si fa buio e le vedette scendono; forse per controllare l’auto di Laki. Noi ci appostiamo alle altre auto. Dopo mezz’ora, quando ormai è buio pesto, da un sentiero arrivano due cacciatori, saltano in auto e fanno per partire. A questo punto accendiamo le torce e li controlliamo, non hanno preso nulla.


Cervo – Foto Silvio Pennazio

Arriva anche Clà che, con il suo fare impertinente, ma acuta come al solito, chiede al più giovane, un ragazzo sui 25 anni, come mai ha una macchia di sangue sui pantaloni. Risponde che hanno aiutato un altro cacciatore a portare giù un cervo, ma è impacciato, non sa neppure il nome della persona che hanno aiutato. Prendiamo nota dei loro tesserini e li salutiamo augurando loro Buon Natale, ma con il tono di chi non la beve.

Facciamo il punto, pensando che i conti non tornano, ma potrebbero anche essere giusti, e noi sempre a pensar male… quando Laki mi dice via radio che da un po’ un fuoristrada delle vedette lo segue. E Zagor mi avvisa che al Lubè è arrivato in auto un tipo col binocolo: dice di essere un idraulico, vuole controllare se le baite sono a posto; peccato non sappia nemmeno il nome del proprietario di quelle baite. Tutto molto strano, e forse a pensar male…

Meglio verificare se i due cacciatori hanno imboscato qualche preda. Alla luce delle torce risaliamo il sentiero che hanno percorso, ma è buio che sembra d’essere immersi nel petrolio. Ricordo alle guardie che più che cercare con la pila bisogna usare la testa, perché un cervo, pesante com’è, lo si trascina soltanto sul sentiero e ci devono pur essere tracce. Dopo pochi minuti, presso una baita diroccata, trovo la carcassa di un cervo fusone - un bel animale di circa 2 anni, peserà un quintale - ancora legato con le cinghie servite per trascinarlo fin lì da chissà dove; è abbastanza spelacchiato a causa del trascinamento ma ancora un po’ caldo.

Ecco quindi che i nostri sospetti erano fondati. E ora che si fa ?

È un film che ho già visto. Penso di rintracciare i due cacciatori e torchiarli contestando loro il fatto, ma i miei, con l’entusiasmo che conserva solo chi fa il volontario, mi convincono ad aspettare che vengano a prendere il cervo, per beccarli con le mani nel sacco in modo che non possano contestare nulla; troppo spesso gli azzeccagarbugli hanno cassato le nostre sanzioni, e purtroppo avendo pure burocraticamente ragione.

Comincia la lunga attesa. Io e Pop faremo il primo turno.

Bisogna prendere tutte le precauzioni possibili per non farci sgamare. Niente più comunicazioni radio, solo telefono; quante volte le operazioni sono fallite perché siamo stati intercettati. Nascondere la panda e posizionare gli altri fuori mano ma pronti con auto diverse a intervenire.


Gipeto – Foto Alessandra Pucci

Con Pop ci piazziamo, ma non è facile neppur quello; dobbiamo essere vicinissimi ma non visibili. Alla fine un muretto della mulattiera ci ripara, intanto è sorta una mezza luna crescente a illuminare la scena.

Non bisogna muovere, parlare piano e stare all’erta, attenzione a ogni minimo rumore. E si fanno congetture: verranno subito perché abitano in pianura e vogliono andare a casa, o andranno a cena con i loro compari della valle e verranno dopo con tranquillità? O verranno in piena notte, o domattina presto, o se ne fregano del cervo e ce lo lasciano tanto non gli costa nulla? Sono appena le diciannove e non bisogna guardare l’orologio altrimenti il tempo non ti passa.

Nel frattempo nessuno dei miei vuole andare a casa, sono tutti ancora molto gasati per i due bracconieri, con un capriolo frodato, acciuffati senza troppa fatica appena una settimana prima; neppure Clà, che pur domani lavora al supermarket; e ci incoraggiano, ma fa freddo lo stesso.

Il tempo, dietro il muretto a secco, è fermo. Il freddo sale dai piedi, vorresti muoverti un po’ ma non si può, potrebbero arrivare da un momento all’altro; così, sottovoce, si parla di varie cose; la mia esperienza ormai è lunga e racconto a Pop di altri casi risolti, non certo di quelli andati a buca; quello della trappola per lepri vegliata per giorni al freddo e poi caricata in auto per portarla via e fermati dal bracconiere tonto che la reclamava, o dei tremagli da pesca tesi sul Po a febbraio, vegliati tutta notte, e del caffè che ci offrirono gli stessi contravvenuti a verbale concluso. E altre ancora, ma ero più giovane.

La mezzanotte non è lontana. Il pensiero corre a quegli altri che stanno al caldo bevendo il grappino dopo la polenta, e ridono delle guardie gabbate; spero di ridere per ultimo.

Improvvisamente sentiamo camminare nel bosco. Ci immobilizziamo a terra, ma il passo è troppo pesante, è un cinghiale alla ricerca delle ultime castagne sotto le foglie, penso.

Ventitre e quarantacinque. Poco sotto di noi un’auto perlustra con cura i prati girando a zig zag, ha anche un faro laterale molto potente; cercano sicuramente selvatici, ma non possiamo intervenire, potrebbe essere una mossa per vedere se ci siamo; non sparano e se ne vanno poco dopo. È un buon segno che ci fa ben sperare; però potrebbe anche non esserlo; ma almeno ci ha movimentato un po’ l’attesa.

Come per gli alpini, a mezzanotte arriva il cambio. Salgono Clà e Laki. Non è semplice neppure il cambio, bisogna spostarsi a piedi per almeno mezz’ora, al buio senza far rumore. Ogni casa potrebbe avere un cane che abbaia, o qualcuno che ci vede. Spesso, in montagna, gli abitanti aiutano i bracconieri.

Arrivati alle auto da Zagor e gli altri, finalmente ci scaldiamo e mangiamo un panino. Poi si cerca di dormire un po’, ma è impossibile. Bisogna essere sempre attenti ai fari delle auto che salgono, per avvisare i nostri due al muretto. Mi chiedono se è una veglia funebre o se sono lì a prendere la tintarella di luna.


Capriolo – Foto Silvio Pennacchio

Faccio coraggio.

Alle quattro con un messaggio sul cellulare chiedono il cambio. Partiamo io e Pop, 25 minuti di salita, arriviamo belli caldi, ma dura poco, si riparte come prima, e ora è più freddo.

Si ricomincia con le chiacchiere; si prova, perché il sonno ti fa crollare. Devi stare attento, adesso, teso, ormai verranno prima dell’alba come ladri, oppure non verranno più, chissà.

Penso a tante cose, che a 53 anni sono ancora lì al freddo per fare il lavoro che mi piace, ma che potrei fare come molti: vigilanza tranquilla, si muovono senza attenzione e malizie e tutto è sempre a posto. Tutti sono in regola e magari ti offrono pure da bere.

Saranno loro nel giusto oppure sono io ad essere agitato? Lo dico a Pop, e lui risponde: meglio un giorno da leoni che cento anni da …quaqquaraqquà. E dire che potrei stare al caldo, a letto, mentre qui il freddo sale e mi attanaglia.

Non devo pensare ai nostri due cacciatori che dormono beati.

Pop mi chiede cosa faremo se arrivano. Gli dico che li colpiremo al buio con un randello di faggio, una bella sorpresa per loro e più utile di tanti verbali; ma poi gli spiego come muoverci, e intanto il tempo per fortuna passa.

Sono quasi le sei, il freddo è più pungente, come sempre quando ho visto l’alba su queste montagne. La luna è tramontata dietro il Becco dell’aquila, adesso il buio è totale. Vediamo due ombre vicino al cervo, non li avevamo sentiti, sono arrivati come faine, accendono una piletta per pochi secondi, li sentiamo armeggiare con dei rami secchi. Non possiamo muoverci subito, il nostro rumore sulle foglie secche li farebbe fuggire, dobbiamo attendere che carichino il cervo. Attendiamo meno di un minuto e ci muoviamo: il cervo non c’è più. Non c’è più nessuno!

Scendiamo lungo il sentiero per raggiungerli, ma sono spariti, in modo incredibile.


Lupo – Foto Marco Costantin

Cerchiamo. Seguono comunicazioni concitate con i miei giù sulla strada. Non hanno visto salire auto, non si capisce più nulla. Li mando a presidiare vari punti. Per essersi mossi così bene al buio, non possono essere i due della pianura, ma i loro complici della montagna. Io e Pop scendiamo a piedi verso il Lubè, dove il fantomatico idraulico potrebbe arrivarsene col cervo, ma nulla.

Clà e gli altri fermano due auto con pseudo-cacciatori e cani da caccia che salgono verso Serre, nonostante ormai non possano più uscire con i cani. Tutto è molto sospetto.

Zagor con gli altri sono in paese in un punto di transito obbligato per sorvegliare chi passa, ma non ci sono d’aiuto.

Finalmente si fa giorno. I miei cabbasisi girano molto più velocemente di quelli del peggior commissario Montalbano. Continuiamo a cercare, tagliando di traverso tutti i sentieri della montagna: un cervo di un quintale non può sparire così; comincio a pensare che lo abbiano solo nascosto meglio e rimando Pop a Serre a controllare.

Quando sto per rassegnarmi ad essere stato gabbato, al fatto che quei furboni se la rideranno e la racconteranno a lungo in valle, gioco la mia ultima carta.

Recupero i numeri di telefono dei due cacciatori della sera. Voglio telefonare prima al giovane che mi era sembrato più insicuro, mostrandomi cattivo e molto determinato: e lo sono, molto cattivo, dopo una notte all’addiaccio. Quando risponde non gli do tempo di parlare: gli dico che se non mi portano subito il cervo davanti alla stazione dei Carabinieri, li denuncerò per furto ai danni dello Stato, aggiungo un po’ di reati e che salta la sua licenza di caccia.

Il merlo ci casca, dice che lui non voleva e che lo aveva detto al suo amico di marcare il cervo, anche se non era quello previsto. Lo obbligo a venire di corsa.

Telefono anche all’altro, che sembra cadere dal pero, ma viene su anche lui. Rendez-vous davanti ai Carabinieri.

I due arrivano con la coda fra le gambe, ma senza cervo. Come avevo pensato, i loro amici della valle lo hanno nascosto dietro un rudere a Serre. Lo avrebbero consegnato in giornata, raccontano.

Sì, ma certo! L’avevano nascosto meglio. Non vi dico le nostre facce.

Torniamo a Serre a recuperare il cervo. Il cacciatore che lo ha ucciso lo carica sulla sua auto e ci seguono entrambi in ufficio, dove il giovane vuota il sacco dando la colpa di tutto al suo (ex) amico. 1554 euro di sanzione e tutto sequestrato. Il giorno seguente la multa è già pagata!

La nostra costanza è stata premiata, la fatica ripagata dalla soddisfazione, intima e personale, spesso criticata, di aver agito per fa rispettare le regole e per salvaguardare, almeno un po’, l’ambiente.

Tutto grazie all’entusiasmo, alla determinazione e alla costanza che le guardie volontarie hanno e trasmettono.

Mi chiedo: serviranno tanta dedizione e impegno?

A ognuno la risposta.


Antonio Lingua è Ufficiale della Polizia Giudiziaria della Provincia di Torino, Agente Faunistico ambientale, Coordinatore provinciale guardie ecologiche volontarie