Ambiente |
Pandemia, animali, ambiente |
07 Luglio 2020 | ||||||||||||
Intervista a Gianni Tamino
Il Professor Gianni Tamino è considerato un luminare della biologia italiana. È stato docente dell’università di Padova e deputato della Repubblica. Si è sempre occupato di problemi ambientali, energie rinnovabili, sostenibilità, biotecnologie, ricerca nell’ambito degli inquinamenti ambientali. Prof. Tamino, qual è il suo punto di vista in merito a questo periodo storico che stiamo vivendo, quindi la pandemia e il corona virus? Sono state date molte interpretazioni sulle origini che hanno scatenato questa situazione. Il mio punto di vista è quello di moltissimi altri casi di epidemie e pandemie che si sono verificate nell’ultimo secolo, in particolare quelle più recenti se pensiamo all’HIV (cioè al virus dell’AIDS), a Ebola a Marburg o a SARS. Quei coronavirus precedenti a questo sono quasi sempre collegabili a quello che viene definito il bushmeat, cioè l’uso in alcuni paesi del mondo di cibarsi di animali selvatici. Possiamo citare, ad esempio, l'usanza di cibarsi di primati in Africa, parliamo quindi di gorilla e scimpanzè: un tipo di contatto abbastanza violento e innaturale dell’uomo che è stato favorito dalla distruzione della foresta. Una volta questi animali erano quasi inaccessibili ma l’azione dell’uomo ha provocato grandi cambiamenti. Si pensi per esempio a foreste come l’Amazzonia, oppure in Asia o in Africa, dove arrivano compagnie petrolifere o minerarie, costruiscono strade e creano alterazioni dell’ambiente, oppure bruciano la foresta, come in Borneo: molti avranno visto quello che è successo all'orango-tango nel Borneo in seguito alla distruzione della foresta. Quando facciamo queste azioni criminali nei confronti della natura inevitabilmente questi animali subiscono un pesantissimo stress, una riduzione del numero di individui; inoltre, sono facilmente preda di attività umane, tra cui la caccia e la cattura e, in queste condizioni, l’animale è stressato. Le condizioni ambientali alterate e il rapporto innaturale nuovo che si crea tra uomo e animale favorisce quel salto di specie che si verifica sia in questo caso, con animali selvatici, sia in altri tipi di pandemie come l’influenza aviaria o l’influenza suina, quest'ultima invece collegabile all’altro tipo di maltrattamento dell’uomo nei confronti degli animali, ovvero gli allevamenti intensivi. La situazione di sofferenza degli animali negli allevamenti intensivi, oltre a essere una vergogna per il genere umano, si ritorce contro il genere umano stesso. Certo. E non è soltanto il salto di specie, c’è anche un altro pericolo che può creare nuove pandemie collegato agli allevamenti che ovviamente sono un ricettacolo di virus e di batteri che, a causa della intensità con cui gli animali sono ammassati, senza biodiversità, se uno di loro prende una malattia tutti gli altri la prendono. Per evitare questo, quando si paventano possibili epidemie batteriche all’interno degli allevamenti si usano grandi quantità di antibiotici, ma in questo modo i batteri diventano resistenti agli antibiotici e poi vengono trasferiti anche all’uomo. I batteri possono infatti trasferire questa resistenza anche a specie diverse con le feci o i liquami zootecnici. La presenza di batteri resistenti che va a finire nell’ambiente può trasferire questa resistenza da batteri patogeni a batteri non patogeni che, a loro volta, possono trasferirla ad altri patogeni. Abbiamo così una catena che in questo momento è uno dei problemi più rilevanti secondo l’OMS: il rischio futuro di batteri assolutamente non trattabili con nessun farmaco e questi due eventi, che l’OMS aveva già dichiarato all’inizio di questo secolo, cioè il rischio di una grande pandemia e il rischio di batteri assolutamente non curabili
Quindi un disastro annunciato… Esatto! Quindi si sa che non c’è niente di nuovo, era previsto, era prevedibile ma, ciò nonostante, non si è fatto nulla. E si continuerà a non fare nulla? Adesso la Cina ha deciso finalmente, a parole e sulla carta, di vietare i wet market. Bisognerà però vedere se sarà vero, perché chi ha visitato la Cina (io ci sono stato un paio di volte) sa che qualunque mercato cinese è pieno di animali vivi e morti di tutti i tipi. Un modo di dire cinese è: tutto ciò che ha le gambe si mangia fuorché i tavoli, tanto per dare l’idea. Poi in realtà mangiano anche quello che non ha gambe, come i serpenti. Quindi lei non appoggia l'ipotesi che attribuisce l’origine della pandemia a un pipistrello. Il pipistrello è stato la via indiretta, nel senso che probabilmente, proprio a causa della distruzione degli habitat, esso viene a contatto più facilmente con altri animali come il pangolino; e il pangolino è uno degli animali che fanno parte di questo mercato di carni selvatiche. Tuttavia, quando parliamo di pipistrelli facciamo attenzione: non si parla dei pipistrelli che conosciamo in Italia, si parla delle volpi volanti che per alcune popolazioni sono commestibili. Parlando sempre della Cina, lei ha affermato che le autorità cinesi già da dicembre sapevano, come pure quelle statunitensi; e la Cina in una fase iniziale ha sottovalutato la situazione e poi l’ha nascosta. Sì, pensava probabilmente di risolverla facilmente e questo è spiegabile con il ragionamento che questo coronavirus fosse simile alla SARS. In realtà è simile dal punto di vista genetico ed è sempre un coronavirus, ma ha un comportamento completamente diverso. La SARS non ha fasi visibili asintomatiche, quindi è, per così dire, meno contagioso e più letale. Però, proprio perché è più letale si vede subito e con effetti più evidenti, senza fasi asintomatiche: quando uno prende la malattia lo si vede e lo si isola, un po’ come succede con Ebola che è molto più grave dal punto di vista della malattia rispetto questo Covid2. Ma in realtà, quando una malattia è ben evidente è più facile individuare il portatore e isolarlo; quando invece una malattia per il 60% dei casi non dà manifestazioni o le dà molto limitate, noi non ce ne accorgiamo. Però quella persona è in grado di infettare altri, quindi si ha una diffusione rapida dell’infezione, e solo successivamente ci si rende conto che emergono delle patologie in un certo numero di persone. Ma per ogni persona con patologie ce ne sono molte altre con manifestazioni quasi nulle o nulle che continuano a far proliferare la malattia. Quindi se i cinesi pensavano che fosse tipo SARS avranno ritenuto che fosse facile da isolare, perché effettivamente la SARS fece in tutto, mi pare, 800 morti; che non è poco ma è niente rispetto ai decessi oggi verificatisi a livello mondiale, e ciò è dovuto proprio alla difficoltà di individuare il portatore, diciamo così, “quasi” sano. Da qui, dunque, la necessità di tanti tamponi. Ma anche i tamponi hanno i loro limiti, tant'è vero che adesso si propone l’analisi sierologica, benché anch'essa abbia i suoi limiti. Insomma, siamo in una situazione in cui la malattia è molto più subdola di quella che conoscevamo prima Come vede la fuga dal laboratorio di cui si è parlato anche recentemente, che attribuiscono addirittura al 2015? Quel laboratorio esiste da tempo, ed effettivamente vi si studiano anche i coronavirus come li studiano in America o in Francia. Laboratori del genere sono sparsi in tutto il mondo ed in genere si ipotizza che vi si conducano due tipi di ricerche: sperimentazioni per produrre armi biologiche, cosa che sarebbe vietata dalle convenzioni internazionali; oppure per studiare dei vaccini, e l’ipotesi della manipolazione di questo virus in laboratorio per ottenere un vaccino dell’HIV è poco probabile perché le porzioni che hanno riconosciuto come presenti simili a quelle della HIV sono presenti in altri coronavirus e in altri virus, e non sono per niente utili ai fini della possibilità di ottenere un vaccino, fermo restando che se vogliamo parlare di vaccini con questi tipi di virus, si tratta di una chimera.
Perché il virus muta continuamente… Sì, cambia continuamente, quindi pensare di trovare un vaccino è assolutamente poco probabile, ma del resto lo abbiamo visto: da quanti anni si cerca il vaccino per l’HIV e quali sono stati i risultati? Quindi, tutto ciò premesso, a mio avviso è molto più probabile l’origine del salto di specie anche perché questo è quello che avevamo visto in tutti gli altri casi. Quello che chiamano lo spillover. Perché è così preoccupante per la scienza? Il salto di specie per la scienza è ben noto. Il primo, almeno a livello di salto da un animale all’uomo, viene fatto risalire addirittura all’inizio dell’allevamento del bestiame, cioè con la rivoluzione neolitica dell’agricoltura e dell’allevamento. Parliamo quindi di 10.000 - 12.000 anni fa, e in effetti si è visto che la tubercolosi, per esempio, che è ancora oggi una malattia batterica ben diffusa nel mondo e che provoca molti morti, è quasi sicuramente derivata dai bovini. Altre malattie sono derivate da batteri bovini o da virus bovini e quindi è l’allevamento del bestiame che ha iniziato a produrre questo tipo di epidemie nelle popolazioni che erano in questo particolare rapporto con gli animali. Le interpretazioni da parte degli scienziati sulla pandemia sono state molto discordanti e si è assistito anche a veri e propri scontri televisivi. La scienza non è depositaria di verità assoluta ma di ricerca di verità che sono sempre parziali. È chiaro, però in questo momento la gente avrebbe bisogno anche di qualche certezza e mi sembra che da quello che vediamo sui giornali o per televisione i virologi sembrano avere delle grandi verità, ma discordanti tra di loro. Sì, perché si cercano sempre verità a posteriori cioè la cura, il vaccino, eccetera. Ma l’unica verità che noi abbiamo in campo ambientale e sanitario, è che dobbiamo fare prevenzione. La prevenzione e l’unica cosa che ci salva sia rispetto ai disastri ambientali, sia rispetto al rischio di malattie infettive, come in questo caso, e arriveremo a mezzo milione o più di morti.
Anche sulle cifre a volte è difficile capirci qualcosa… Infatti molti dicono che i morti sono sicuramente di più di quelli ufficiali, perché quelli ufficiali sono quelli misurati, ma quelli non misurati potrebbero essere altrettanti. Ma diciamo pure che siamo già sulle centinaia di migliaia di morti; si dimentica tuttavia che esistono altre malattie che provocano milioni di morti all’anno, come per esempio l’inquinamento ambientale. Secondo l’OMS e secondo riviste prestigiose come The Lancet si parla di 10-12 milioni di decessi all’anno provocati dall’inquinamento. Non sono decessi che vediamo immediatamente, come nel caso della pandemia o nel caso di una malattia virale, perché in questo caso nel giro di un mese uno si ammala e se diventa grave in altri 10-15 giorni rischia di morire. Le malattie cronico-degenerative causate dall’inquinamento, invece, sono malattie che posso durare anni; sono malattie cardiocircolatorie, ictus, sono i tumori, sono il diabete secondario, cioè quello acquisito, e malattie dovute alle sostanze che immettiamo nell’ambiente in grado di alterare il sistema immunitario e le difese immunitarie. Abbiamo, cioè, tutta una serie di malattie che nel loro insieme provocano ogni anno una perdita di vite umane calcolabile in più di 10 milioni di persone. Altro che Covid-19! Però non è che le due cose – la pandemia e l'inquinamento – siano separate, perché proprio l’inquinamento atmosferico, l’inquinamento ambientale che indebolisce le persone ed anche gli animali selvatici di cui distruggiamo l'ambiente, da una parte favorisce la perdita di biodiversità, la perdita di habitat, i cambiamenti climatici; dall’altra parte rende sempre più facile l'emersione di nuovi virus, nuovi batteri in grado di causarci nuove malattie Sembra proprio che questo sistema lo abbiano studiato degli alieni cattivi che vivono su un altro pianeta! Certo, e questo dipende proprio dell’antropocentrismo, cioè dal fatto che siamo noi stessi a considerarci degli alieni su questo pianeta. Quando abbiamo una visione antropocentrica non ci caliamo all’interno della realtà naturale ma pensiamo di essere come dei padroni venuti da fuori. In realtà, noi siamo parte integrante di questo sistema naturale e saremo tra quelli che più di altri potranno subire le conseguenze delle nostre azioni, perché noi potremmo sparire ma tutte le specie che resteranno ringrazieranno il fatto che non ci siamo più. Che non ci siano più gli uomini. Infatti nel periodo della pandemia abbiamo assistito a scene commoventi di animali che si riprendevano i loro spazi e questo dà proprio l’idea di come il genere umano si sia impossessato di tutti gli spazi possibili. È perché noi, a differenza delle altre specie che hanno un habitat limitato – in pratica normalmente solo all’interno di alcuni ecosistemi – abbiamo colonizzato il pianeta nel suo insieme. E se vogliamo salvare la specie umana dobbiamo renderci conto che dobbiamo prima di tutto salvare l’ambiente in cui viviamo, un po’ quello che dice anche il Papa, e lo dico da laico. Nell’enciclica “Laudato sì” si legge che questa è la casa comune: se tu distruggi la casa comune non è che fai morire solo gli altri. Muori anche tu.
Potrebbe anche dire due parole in favore degli animali però questo Papa visto che si ispira a San Francesco. Basterebbe una sola parola… Per quanto riguarda l’inquinamento, una delle maggiori cause sono proprio gli allevamenti intensivi. È inevitabile pensare a tutti quei miliardi di animali che vivono in una condizione infernale, è insopportabile per chi ha un minimo di sensibilità, quando basterebbe anche solo una riduzione progressiva del consumo di carne per risollevare le sorti del pianeta e salvarlo. Basta pensare ad una cosa semplicissima: se io sommo tutti i bovini, tutti i suini, tutti i caprini e ovini e tutti i volatili, abbiamo più di 50 miliardi di animali allevati. Do dei numeri: 1 miliardo e mezzo di bovini ma, poiché un bovino pesa 10 volte un essere umano questo numero equivale, in massa, a 15 miliardi di esseri umani. In altre parole, noi creiamo un sovrappeso sul sistema naturale dovuto a degli allevamenti concentrati in poco spazio che drenano risorse naturali, dall’acqua al cibo. Pensiamo agli incendi delle foreste come quella amazzonica, appiccati per coltivare soia o mais da dare ai nostri animali, lasciando morire di fame gli uomini: allora, noi non possiamo pensare di risolvere la fame del mondo se non eliminiamo queste situazioni, oltre che non potremo certo risolvere l’inquinamento e i cambiamenti climatici distruggendo le foreste. Cosa succederà in futuro? lei pensa che ci sarà una svolta epocale? Questa è la grande tematica che abbiamo tutti in testa, infatti si moltiplicano gli appelli in giro in Internet – anche perché non possiamo fare altro visto che al momento non possiamo più incontrarci. Io sono co-firmatario di un appello che dice: dopo questo, cosa dovremmo fare? Ma tantissimi altri appelli sono usciti, il problema al solito è che di fronte a una crisi, abbiamo due alternative. La stessa parola “crisi” deriva dal greco krisis che vuol dire “momento di transizione”. In qualche modo dunque, la crisi è quando siamo in un punto di incertezza di fronte al quale dobbiamo prendere delle decisioni. Allora, le ipotesi sono due: o si usano enormi quantità di denaro per tornare indietro alla situazione precedente e, quindi, ricreare le condizioni per nuove catastrofi; oppure cerchiamo, invece di inondare di denaro il processo di distruzione del pianeta, di usare quella che sarà una ricostruzione non solo materiale ma culturale per cambiare la mentalità del paradigma dominante, la narrazione dominante in questa società che è basata sulla distruzione dell’ambiente come fosse infinito per trarne profitti. Profitti che provengono dalla vendita di cose spesso inutili, favorendo un consumismo sfrenato che è possibile per una parte dell’umanità lasciando morire di fame gran parte del resto dell’umanità e distruggendo le condizioni di vita per gli altri organismi viventi a partire dagli altri animali.
Questa situazione è determinata da una élite. Ma la maggior parte delle persone in qualche modo subiscono questo sistema e sono alla stregua degli animali, anche se non in modo così drammatico. Gli animali sono quelli che subiscono più di tutti. Perché non vengono loro riconosciuti quei diritti minimi che, almeno sulla carta, anche un essere umano schiavizzato ha: per quanto i suoi diritti siano calpestati, sulla carta almeno li avrebbe.
In questa pandemia hanno calpestato anche i nostri diritti. Questa incarcerazione serve veramente? Dal punto di vista della prevenzione, quando non si fa quella primaria che vuol dire evitare il danno a monte, non resta che la prevenzione secondaria, che è la distanza. Però non si può vivere a distanza, quindi dobbiamo trovare in tempi brevi il modo di convivere con una limitata distanza sapendo benissimo che la caratteristica di una pandemia come questa è che all’inizio, non essendoci anticorpi nella popolazione, il virus si propaga rapidamente ma inevitabilmente, come sempre è successo, nel tempo acquisiremo una progressiva immunizzazione per cui il virus andrà in quello che si può ritenere un equilibrio. Tutte le pandemie del passato hanno portato a degli equilibri. L’influenza spagnola del 1918 /19/20 ha provocato forse 50 o 100 milioni di morti ma non è che sia scomparso. Il virus AH1N1 c’è ancora, ma è entrato in un equilibrio con gli organismi umani e quindi noi dobbiamo creare le condizioni per arrivare il più presto possibile ad un equilibrio limitando i danni in termini di mortalità, difendendo le persone più deboli ma anche evitando che si ricreino le condizioni di nuovi disastri futuri. Uno dei motivi del disastro è anche la speculazione sui sistemi sanitari, perché se noi continuiamo a privatizzare, e il privato non ha altro interesse se non quello di trarre profitto dalla malattia, il suo ragionamento sarà che è molto più conveniente avere dei malati di tumore che moriranno dopo 4-5 anni di cure costosissime che avere un malato di un virus che dopo una settimana o 10 giorni muore comunque: tanto vale lasciarlo morire. Lei ha scritto dei libri molto interessanti, e ne ha scritto anche uno che si intitola “etica, biodiversità, biotecnologie, emergenze ambientali” con Gino Ditadi e la compianta Margherita Hack. Quindi l’etica in qualche modo nei suoi libri rientra sempre. Sì, certo. Quello che non viene colto è che l’essere umano è un animale ma, a differenza di altri animali ha sviluppato una capacità maggiore ma non esclusiva di coscienza, pertanto non può ignorare che deve assumersi la responsabilità di quello che fa. È una cosa che non abbiamo l’obbligo di pretendere dagli altri animali, ma noi non possiamo esimerci dall’assumere la responsabilità di quello che facciamo. Invece negli ultimi due-tre secoli abbiamo agito ignorando totalmente questo obbligo di responsabilità nei confronti nostri delle generazioni future e degli altri animali. Grazie, Professor Tamino |