Leggende e Tradizioni

Tracce di ruote solari nelle Valli di Lanzo

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30 Dicembre 2017
 Il reperto in micascisto, ritrovato nel Vallone del Ru, Balme - Val d'Ala di Lanzo (Foto di Roberto Valter Vaccio)
Il reperto in micascisto, ritrovato nel Vallone del Ru, Balme - Val d'Ala di Lanzo (Foto di Roberto Valter Vaccio)

Reperti di arcaiche tradizioni in Piemonte


Durante un servizio fotografico realizzato per l’articolo ‘La Pietra del Sindaco del Vallone del Ru’ pubblicato su “Barmes News”, gli eredi Castagneri (antica famiglia di Balme - Val d’Ala, Piemonte), prelevando il reperto dalla vetrina in cui era conservato, hanno posto alla mia attenzione, un frammento di roccia con tracce di lavorazione, esposta accanto ad alcuni notevoli campioni di ‘granato’, vesuvianite ed epidoto cristallizzati.

Tutte Memorabilia, delle passate ricerche mineralogiche effettuate da Michele ‘Mimì’ Castagneri Lentch (1910-1978) noto Cristallier di Balme, la cui collezione, donata dagli eredi è visibile presso i locali del Museo delle Guide Alpine di questa località.


Litotipo e luogo del ritrovamento

La descrizione di questo reperto, inizia dalla tipologia della roccia di cui è composto; si tratta di un frammento di pietra elaborato da intervento umano, un micascisto, una roccia sedimentaria metamorfizzata dall’orogenesi alpina, appartenente al gruppo delle Pietre Verdi; la composizione è micaceo/plagioclasica a grana fine con rarissimo quarzo in questa giacitura, compatta, poco scistosa e scarsa esfoliazione, con alcune tracce di un ‘solfuro’ alterato forse pirite, una roccia autoctona frequente in questo settore delle Alpi occidentali.

Venne rinvenuto dal Castagneri nel ripido vallone del Ru, nei pressi della località Ginevrè, tra i materiali rocciosi depositati caoticamente dalle frequenti valanghe (nei pressi di questi luoghi, raccoglierà alcuni anni dopo la Pietra ollare ‘del Sindaco’).

Erano gli anni ’60 del 1900, in compagnia del figlio Antonino (anch’esso Cristallier, un mestiere tradizionale per molti appartenenti a quest’antica famiglia, i cui splendidi campioni minerali figurano in musei e collezioni di tutto il mondo), il Castagneri era diretto verso e oltre le pareti rocciose del lago Ru, come molte altre volte, alla ricerca delle ricche fessure alpine cristallizzate, che la sua grande esperienza portava a individuare.

Ma in quella giornata l’interesse di Michele si rivolse particolarmente a una scheggia di pietra, curiosamente incisa, che il suo occhio attento aveva notato, tra i molti altri frammenti rocciosi, accumulati accanto a una drusa di cristalli di quarzo, appena individuata.

La zona di ritrovamento del frammento di micascisto è particolarmente ricca di petroglifi di epoca storica e protostorica, raramente documentati.

Dal canalone del Ru al Ginevrè, tra i suggestivi laghi glaciali Ru e Mercurin, sino al Passo delle Sette Pecore e al colle Vallonetto q.2845 è un susseguirsi di rocce graffite. Lungo tutto il ripido percorso, le pietre raccontano dei primi, che con fatica e timore reverenziale transitarono in questi luoghi magici sin dalla Preistoria; luoghi, presso cui quegli uomini, avvertivano quasi tangibilmente la presenza del Sacro.

Qui le rocce ‘raccontano’ di pastori e cacciatori, di viandanti e di cercatori di vene metallifere e di cristalli, e di guide alpine, che durante il trascorrere dei secoli, incisero sulla pietra i propri pensieri, materializzandoli.

Alcuni segni, quelli più antichi, sono ormai quasi invisibili, cancellati dal tempo e dalle molteplici incisioni che si sono sovrapposte durante i secoli, figure antropomorfe, segni essenziali, spiraliformi, zoomorfi, fitomorfi, a phi, e nomi, frasi e tante date.


Descrizione del reperto

Il reperto rinvenuto in questo ripido canalone, presenta un aspetto fluitato, risultante dall’attività franoso/geliva della località e ‘provato’ dagli agenti atmosferici, tuttavia in buono stato di conservazione.

La forma è pseudo-ellittica e misura cm.9,5 x cm.5,8 con spessore medio di circa cm.2,5. Solamente una superficie è interessata dalle incisioni e da alcune tracce di scalpellatura, mentre l’altra presenta solamente i segni di distacco naturale.

 La funzione di questa incisione resta tuttora misteriosa, ma sembra appartenere al culto delle ruote solari, rivenute numerose nelle Valli del Piemonte (Foto di Roberto Valter Vaccio)
La funzione di questa incisione resta tuttora misteriosa, ma sembra appartenere al culto delle ruote solari, rivenute numerose nelle Valli del Piemonte (Foto di Roberto Valter Vaccio)

In alcune aree del micascisto si possono notare micro tracce di noduli di un ‘solfuro’ e alcuni vacuoli che ne conservano l’impronta.

La superficie lavorata presenta due cerchi con diametro di cm.2,1. Le circonferenze perfettamente circolari, sono incise in profondità, troppo perfette e identiche per essere state eseguite a ‘mano libera’.

La tecnica utilizzata per creare la profonda e perfetta circonferenza, in una situazione di soli due centimetri di diametro; sembra essere quella che si avvale del pump drill, un geniale strumento in uso dall’età del Bronzo al Medioevo, un trapano verticale con volano e archetto, corredato da una mola tubolare.

Sulle circonferenze si notano inoltre, i minuscoli segni di micro scalfitture unidirezionali, che dalla circonferenza si dirigono verso il centro del segno circolare, probabilmente atte al futuribile ‘scalzamento’ dei due oggetti che si sarebbero ricavati dalla lavorazione terminale della placchetta.

Ogni cerchio presenta una profonda coppella centrale con diametro di cm. 0,3, probabili inizi di forature non portate a termine, come il resto della lavorazione.

Uno dei cerchi, quello situato sul perimetro è incompleto, privo della sua metà, scheggiato incidentalmente forse durante la lavorazione o per cause naturali.

Si può osservare, anche se con qualche difficoltà, la minuscola traccia di ciò che resta di un terzo cerchio, situato sul perimetro del reperto, accanto al cerchio completo.


Probabile funzione del reperto

I due cerchi e le relative coppelle centrali, eseguiti sul frammento di micascisto, potrebbero anche essere interpretati come simboli ‘solari’ dal valore salvifico; in alcuni siti alpini sono effettivamente presenti petroglifi simili, di varie dimensioni, incisi con questa finalità cultuale. Escludendo le ‘ingannevoli’ macine da mulino non terminate e le piccole macine sparse in vari luoghi di lavorazione, ‘spacciate’ per simbologie ‘solari’.

La profondità dell’incisione in rapporto alla dimensione della pietra ne escluderebbe l’utilizzo cultuale; per la leggibilità dei segni sarebbe necessitata un’incisione meno profonda.

Risulterebbe poco verosimile una lavorazione al fine di ricavarne vaghi di collane o anelli per uso ornamentale; anche se pendenti, anelli e bracciali in micascisto levigato, sono stati reperiti presso alcuni siti archeologici alpini, ma ricavati da placchette di roccia decisamente più sottili, facilmente lavorabili e ottenibili dalla scistosità della roccia.

È poi improbabile, che questo frammento fosse destinato alla creazione di volani, in funzione di primitivi strumenti a cordicella, adibiti all’accensione del fuoco o per trapani pump drill a punta di selce; per entrambi gli strumenti sarebbero occorsi volani di maggiore dimensione e peso.

Quasi certamente la profondità delle circonferenze, delle coppelle centrali e i segni di scalpellatura/allargamento all’interno dei cerchi, indicano che il reperto sia una lavorazione, mai portata a termine, idonea a ricavare due o più strumenti indispensabili per la filatura di lana e di fibre vegetali, le fusaiole.

La profonda coppella centrale, sarebbe stata trasformata in seguito, in un foro passante, ulteriormente allargato per consentire l’inserimento di un fuso in legno, idoneo alla rotazione manuale.

Questo tipo di piccole lavorazioni manuali, in pietra, legno e osso, al fine di creare oggetti di utilità quotidiana, diveniva un utile ‘passatempo’ per gli antichi pastori che per giorni interminabili, in totale solitudine seguivano le greggi, tra prati, rocce e cenge impervie.

Fusaiole/volano di varie forme, dimensioni e materiali, in pietra, osso, ceramica, legno, vetro, o metallo, dalle dimensioni di 2 max. 5 cm. di diametro sono state reperite, non solo in siti alpini, ma pressoché in tutte le località frequentate dall’uomo, create e utilizzate dal Neolitico sino al XIX sec.


La “Pietra del Sindaco”, reperto del Vallone di Ru, presenta incisioni che rivelano simbolismi arcaichi, come ruote solari e croci celtiche

Per citare solamente alcuni dei siti alpini, in cui gli scavi archeologici o i ritrovamenti fortuiti, hanno portato alla luce fusaiole preistoriche, etrusche, celte, romane, ’barbariche’ e medievali, vi sono le località di Castello di Breno, Borgo Carvedo, Ornavasso, Montevila, Lago di Ledro, Chianocco, Pizzo di Bodio, Pollera, Grotta delle Arene Candide, Castelletto Cervo, Mendrisio, Chiomonte, Rocca di Rivoli, Lagozza di Besnate, Fiavè, Grotta dei Ciclamini, Lago di Viverone, Montescheno, Condove, etc.

Nel territorio delle Valli di Lanzo, un’interessante placchetta di roccia lavorata, dalle caratteristiche simili al reperto del vallone del Ru, fu ritrovato qualche anno fa nel territorio di Usseglio e oggi custodito in una vetrina del Museo Civico Alpino A. Tazzetti di Usseglio, in Valle di Viù. In buono stato conservativo e in uno stadio di lavorazione più avanzato rispetto al reperto descritto in queste note, per cui è facilmente intuibile l’aspetto dell’oggetto quasi terminato.

Il reperto del Ru descritto in quest’articolo, a circa sessant’anni dal ritrovamento, non è mai stato oggetto di indagine o descrizione, riposto com’era nella collezione Castagneri, all’ombra della ‘più interessante’ ollare a ‘simboli solari’.

La ricercatrice Mimmi Rosi, collaboratrice dell’Accademico P. Barocelli, del paletnologo G. Isetti e dello studioso G. Donna d’Oldenico dell’Ordine Mauriziano, conosceva bene ‘Mimì’ Castagneri e si avvaleva delle sue puntuali segnalazioni di incisioni rupestri e ritrovamenti casuali tra le impervie montagne dell’alta Valle d’Ala; ma del reperto del Ru non era a conoscenza, mentre sulla ‘Pietra del Sindaco’ nel 1970 stese una prima relazione di studio, per la Riunione Scientifica dell’Istituto di Preistoria in Puglia.

Purtroppo questo frammento di micascisto come altri reperti di cultura materiale, raccolti lontano dal contesto di giacitura primaria, sono difficilmente databili, mancando i dati che uno scavo archeologico stratigrafico consentirebbe di acquisire.