Animalismo

La punta dell'iceberg della vivisezione

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11 Settembre 2014


È opinione corrente che la sperimentazione animale stia diminuendo ma le statistiche dimostrano il contrario: in Europa oggi la sperimentazione coinvolge 12 milioni di animali all’anno, quindi esiste, eccome.

Questi numeri inoltre si riferiscono soltanto ai vertebrati e non vengono contati tutti quelli soppressi appositamente per ricavarne organi o parti di essi e tutti gli invertebrati.

È importante che tutti possano conoscere e accedere ai dati di queste stragi, condotte quotidianamente sugli animali, perché si sappia che praticamente tutto quello che viene utilizzato dagli umani prima viene testato sugli animali, ma alla resa dei conti senza alcun vantaggio per noi.

Proprio per questo lo slogan “Informare e informarsi” è stato il filo conduttore della conferenza “Il futuro della ricerca: analisi della sperimentazione animale e metodi alternativi” organizzata dalla LAV Lega AntiVivisezione svoltasi il 10 luglio a Torino presso il Mausoleo della Bela Rosin, dove la dottoressa Michela Kuan, biologa, responsabile nazionale LAV della sezione antivivisezione, ha esposto i dati recenti e ha coinvolto il pubblico in alcune inevitabili riflessioni, evidenziando le sfaccettature di questa metodologia obsoleta, cruenta e ascientifica.

Purtroppo chi lucra sugli animali, compresi i mercanti di schiavi, le lobbies del farmaco, gli sperimentatori pseudoscienziati, propone la tesi che chi è contro la vivisezione vuole privarci del progresso, dei vantaggi della ricerca o della scoperta di nuove cure. Le notizie pubblicate dai media abituano all’uso del modello animale per la ricerca, pubblicizzandone l'utilità e presentandola come indispensabile, così le persone vengono lentamente abituate alla sua ovvietà.

Per esempio, lo sapevate che un numero veramente consistente di prodotti di ogni tipo viene sperimentato sugli animali? Non solo i medicinali ma anche gli apparecchi ortodontici, i coloranti, addirittura l’acqua, prima di essere immessi sul mercato vengono testati sugli animali. In definitiva tutto quello che viene in contatto con la specie umana deve essere testato.

Per i farmaci vige un vincolo di legge per cui questa pratica viene continuamente utilizzata. Per i cosmetici è vero che adesso in UE c'è il divieto dei test sugli animali, se però il cosmetico contiene sostanze chimiche o farmaceutiche, per esempio i filtri nei prodotti solari, queste sono soggette obbligatoriamente ad essere testate sugli animali. Quindi il consumatore si trova in grande difficoltà, anche quando è informato, nella scelta dei prodotti. Inoltre, se le materie prime sono importate da paesi terzi, il requisito del controllo spetta al paese di provenienza.


Il folto pubblico presente al Mausoleo della Bela Rosin a Torino dove si è svolta la conferenza conferenza prganizzata dalla LAV “Il futuro della ricerca: analisi della sperimentazione animale e metodi alternativi”

In che modo dunque vengono usati gli animali?

Secondo quanto riportato dalla dottoressa Kuan, il 30% per la ricerca di base e ben il 51% per lo siluppo di prodotti e apparecchi, il 9% per i test di tossicità, il 4.2% a scopo diagnostico e lo 0.3% per la formazione scolastica.

Un altro dato terribile è che il 15% delle sperimentazioni viene eseguito senza anestesia e l’animale è completamente vigile, a volte mantenuto in questo stato anche per mesi.

Per gli animali il dramma vissuto sul tavolo operatorio non è che l’ultima di una lunga serie di tappe crudeli: vengono prelevati da cuccioli dall'ambiente naturale, sotto shock per aver assistito allo sterminio degli adulti della famiglia. Viaggiano nelle stive di navi e aerei in condizioni allucinanti, claustrofobiche, terrorizzati dai rumori, dal troppo freddo o dal troppo caldo. Quelli che sopravvivono rimarranno per tutto il loro ciclo di vita in gabbia, senza mai vedere il sole o la pioggia, senza muoversi in ambiente naturale, senza poter scegliere il cibo e senza possibilità di relazione empatica, anzi respirando terrore e dolore. E se tutto questo fosse fatto a noi?

Gli animali da laboratorio escono solo da morti da questo inferno. Al termine degli esperimenti subiti vengono soppressi, senza neanche applicare le norme di “benessere” previste dalla legislazione, per dislocazione cervicale cioè spezzare l'osso del collo o con il gas, utilizzato il più delle volte con incuria, per cui la morte è tutt'altro che immediata e l'agonia è lunga.

Purtroppo i risultati di questi esperimenti non giustificano nemmeno tanta sofferenza. Sono specie diverse dalla nostra in cui vengono indotte malattie che avranno necessariamente decorso dissimile da quello che hanno nell’organismo umano. Per esempio, sono stati selezionati come promettenti ben 85 vaccini contro l’HIV, sperimentandoli sugli scimpanzé, però neanche uno ha dato risultato positivo per gli umani. Fino ad arrivare all’assurdo di utilizzare un topo maschio adulto per studiare la depressione post partum delle donne.

Il valore predittivo dell'esperimento è praticamente nullo.

È molto importante valutare l’inutilità di esperimenti che non portano a risultati validi. Si stima che la risposta ottenuta dalla sperimentazione è determinata per il 50% dalla genetica e proteomica e per l’altro 50% dall’ambiente che influenza l'organismo e le risposte fisiologiche.


Michela Kuan, biologa, responsabile nazionale LAV della sezione antivivisezione, durante la conferenza

La differenza genetica tra umani di razze diverse, intraspecifica, è di 0,1% mentre tra umani e scimpanzé, specie diverse ma molto vicine, diventa di 1%. Ma non esistono solo i geni. Una piccola distanza genica comporta differenze di un gran numero di geni, che a loro volta amplificano le differenze in un gran numero di proteine codificate. In termini di proteomica la diversità uomo- scimpanzé sale fino all’80%. Questo vuol dire che tutte le risposte immunitarie, infiammatorie, cellulari ecc... mediate dalle proteine effettrici saranno diverse. Ne consegue che nessun organismo di un'altra specie può essere un modello valido per valutare la reazione umana a diverse sostanze.

Proprio in questo momento è in atto una campagna dell’AIFA che dice: non date ai bambini le stesse medicine degli adulti dimezzando le dosi, in quanto l’organismo di un bambino ha risposte diverse da quelle di un adulto; avallando così il discorso delle differenze. E invece continuiamo nello stesso modello concettuale, cercando di guarire l'uomo facendo ammalare animali.

Per quanto riguarda l'ambiente, poi, nel laboratorio ci sono condizioni di stress che non rispecchiano le condizioni naturali di vita e influenzano la risposta reattiva dell'animale. Pensiamo alla situazione in cui ci troviamo seduti sulla poltrona del dentista, in questo caso l'efficacia dell'anestetico varia a seconda dello stress e dello stato emotivo del paziente, che richiederà dosi diverse. Senza contare che della “variante” ambiente fa parte anche lo sperimentatore, che con il suo stato emotivo può influenzare la reazione dell'animale stesso.

Per curare le nostre malattie servono alternative, come ribadito nella nuova legge varata quest'anno dove in più di 60 punti si ripete che è prioritario utilizzare metodi di sperimentazione alternativa.

Purtroppo l’Italia è un fanalino di coda nell’utilizzo delle sperimentazioni alternative. È una questione di qualità della ricerca perché i metodi alternativi sono maggiormente predittivi e questo lo sa bene l'industria, che non si sogna di fare esperimenti a vuoto.

All'avanguardia in Europa sono Scozia, Inghilterra, Germania, mentre sono ferme al palo Spagna, Grecia e Italia, sebbene proprio in Italia sia ospitato il Centro europeo per la validazione dei metodi alternativi (ECVAM) ed inoltre la legislazione sulla tutela degli animali da laboratorio sia la più avanzata d’Europa.


Il manifesto della conferenza

Ma il governo non è pronto a far spingere nella direzione dell’alternativa. Mancano i controlli regolamentati sulle condizioni dei laboratori e alla fine nessuno sa che cosa realmente avvenga lì dentro.

Altro scoglio è costituito dalla lunghezza del processo di validazione di un metodo, che richiede, a oggi, mediamente almeno dieci anni, più per tempi burocratici che per tempi dettati dalle esigenze scientifiche dell'esperimento. Proprio in Italia in questi giorni scienziati e medici chiedono all'Università di Modena, implicata nell'uso dei macachi nelle sperimentazioni sul cervello, di aggiornarsi sviluppando e usando metodi alternativi sostitutivi, che non sono invasivi, e si basano sullo studio specifico degli esseri umani. A causa del fallimento della sperimentazione animale e dalla sempre più evidente inattendibilità dei risultati ottenuti, stanno nascendo progetti come il BRAIN (Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies) in diversi Paesi, unendo ricercatori e istituti diversi di tutto il mondo. Il progetto ha come scopo la mappatura completa del cervello umano. Anche la Commissione Europea ha predisposto più di 1 miliardo di euro per 10 anni per la costruzione di un modello digitale del cervello.

E allora che cosa possiamo fare?

Innanzi tutto diffondere le informazioni e non lasciare che tutto passi sotto silenzio, perché tutti noi siamo implicati in questa brutta storia. L'alternativa alla vivisezione riguarda tutto il nostro mondo: non solo gli animali e la loro tutela, anche l'uomo e la sua salute nonché l'ambiente e la sua preservazione. Informare per rompere quell'abitudine che porta a considerare ovvia e familiare una situazione sorpassata e inutile. Non è possibile che si continui a insegnare la vivisezione, occorre far sapere che esistono alternative scientificamente migliori e gli studenti hanno diritto ad avere a disposizione un metodo diverso dall'utilizzo di animali vivi.

Ovvio che gli studenti, che per anni vengono abituati ad utilizzare gli animali, un po’ alla volta si abituano anche alla loro sofferenza, considerandola un “male necessario”. È un diritto degli studenti avere almeno la possibilità di scelta, ricorrendo alla legge 413 del 1993 che sancisce il diritto, presso le Università, di obiezione di coscienza per i ricercatori e gli studenti che non vogliono utilizzare la sperimentazione animale.

In conclusione, se il modello animale può aver avuto un significato alla fine dell’Ottocento, non ce l'ha in quest’epoca. Nell’Ottocento per comunicare si usava il telegrafo, oggi usiamo gli smartphone, c’è stata un’evoluzione. E allora perché nei laboratori niente è cambiato e vengono ancora usati i topi come nell’Ottocento?


Elisabetta Pizzoni, biologa, e Miriam Madau, medico omeopata, sono membri del Gruppo Ricerca Medica di SOS Gaia e membri della LIMAV (Lega Italiana Medici AntiVivisezione) www.sos-gaia.org